Che poi, all’improvviso, ti accorgi che ci sono anche loro. Si fa sempre fatica a parlare di storia, meglio dire “narrazione”, “racconto”, “evento”. E nel corso degli eventi un posticino piccolo lo meritano anche Borghese, Lamanna, Forestieri, Galano e Cavanda. Forse non saranno eroi, magari ci dimenticheremo presto le loro facce e i loro nomi ma, in fondo, questi ragazzi vanno ringraziati. Su le loro (giovani) spalle grava il peso di una stagione disastrosa. Quella dei mancati pagamenti, delle confessioni di Masiello, del calcioscommesse, dell’assenza di una società che parli e spieghi cosa sta succedendo. Eppure loro giocano, si impegnano, vincono e perdono, provano a difendere questi colori. Non sempre ci riescono ma non si può certo dire che non ce la mettano tutta. Ero indeciso ieri. Andare o meno allo stadio, ma chi me lo fa fare? A vedere cosa? Una partita inutile per la classifica. Il Bari non potrà certo agganciarsi al treno dei play off con tutte queste penalizzazioni. E la salvezza appare ormai cosa fatta, a meno che non decidano di farci fare la Lega Pro per colpa di quei fenomeni che adesso vanno cercando comprensione e redenzione. Insomma, Bari – Grosseto del 6 aprile 2012 non sarà ricordata da nessuno come la partita della vita. Alla fine decido di andarci, allo stadio. Troppa voglia di calcio giocato. Di applaudire un’azione, di sostenere undici ragazzi in maglia biancorossa, di vedere una vittoria fine a se stessa. Metto da parte i rancori e mi vado a sistemare in tribuna est, da solo. Non mi sorprendo a vedere lo stadio vuoto. Mi guardo intorno e non trovo facce conosciute. Poi parte l’inno, Bari Grande Amore. Due anni fa lo cantava tutto lo stadio mentre si alzava una sciarpata che metteva i brividi.

Oggi risuona sordo in uno stadio dove si sente l’eco. E penso a quanto siamo stati stupidi a farci sfuggire una cosa così bella dalle mani. Ma che ci posso fare. Mica è colpa mia. E tutto sommato nemmeno dei ragazzi che stanno per scendere in campo. Torrente aveva chiesto di stare vicini alla squadra, “la parte sana del calcio”. Bari non risponde a questo appello. Capisco entrambi e mi siedo sperando quantomeno di vedere una bella partita. In campo non c’è Protti, nè Maiellaro, nè Joao. In porta non c’è Gillet ma me ne faccio una ragione. La squadra ha voglia di dare una soddisfazione a quei pochi tifosi accorsi ma non ha la giusta qualità. Quella che ci si aspetta da una squadra che si chiama Bari e due anni fa stupiva l’Italia. Stoian è troppo solo in attacco, De Falco sbaglia i passaggi più elementari e già ti viene voglia di bestemmiare. Il duello tra Sforzini e Borghese, degno del 6 nazioni di rugby, è quello più avvincente della partita. Poi dalla curva si alza uno striscione “Anche da lassù para la palla Franco Mancini“. Lo stadio si scioglie, applaude per due lunghissimi minuti. Io mi commuovo, piango, ricordo i pomeriggi passati ad applaudire quel portiere. Faccio fatica a nascondere le lacrime, ma per fortuna sono solo. Forestieri sembra ispirato, va via come Messi ma poi si ricorda di essere un giocatore del Bari e perde il pallone. Al 30′ Bellomo gli serve l’assist dell’uno a zero ma Nando spara addosso a Viotti sprecando l’occasione. Passano 5 minuti e il Grosseto si affaccia per la prima volta dalle nostre parti: Alfageme triangola con Sforzini, si ritrova a tu per tu con Lamanna lo salta e deposita in rete eludendo il disperato tentativo di Dos Santos. Prima azione e gol. Niente male.

Torrente si arrabbia, lo stadio inizia a spazientirsi per i primi disimpegni sbagliati. La curva canta “chi non salta è giallorosso” ma il resto dello stadio fischia, come a dire “tra di voi c’è qualcuno che non ce la racconta giusta“. Il primo tempo finisce così. Nella ripresa il Bari parte bene, ha voglia, e il pubblico capisce. Accompagna i ragazzi, li invita a non mollare. Manca la punta e si vede. Torrente mette in campo Albadoro , un giovane che viene dalla Juve Stabia e che per me ha grandi qualità. Dalla curva si alza un altro coro “Masiello uomo di merda” ma anche in questo caso il resto dello stadio fischia e grida “Venduti“. Io sto zitto e prendo nota. L’ambiente è spaccato. Società, tifoseria, quando le cose vanno male tutti se la prendono con tutti. Ma i ragazzi attaccano, a testa bassa. Ci prova Scavone con un gran tiro da fuori, respinto in angolo. Forestieri si guadagna punizioni, Borghese vince tutti i contrasti con Sforzini, ma il pareggio non arriva. Neanche quando il nuovo entrato Defendi, servito da De Falco prova a superare con un pallonetto Viotti ma trova il portiere pronto a respingere. E il cronometro scorre inesorabilmente. Mancano otto minuti quando Torrente mette dentro Galano. Sono proprio Albadoro e Galano a confezionare l’azione del pari. L’attaccante napoletano serve il centrocampista che con una parabola mancina soprende Viotti. Mi alzo per accompagnare il pallone in rete e… sì, esulto. Fanculo alle scommesse, allo stadio vuoto, agli autogol su commissione, al punto inutile che stiamo per prendere. Lasciatemi esultare per questo gol. Lasciatemi sperare che questa partita si possa vincere ancora, mancano 5 minuti. E il Bari ci prova con il sacro fuoco di chi vuole prendersela questa piccola soddisfazione. Forestieri adesso sembra davvero Messi e Albadoro si ritrova tra i piedi un’occasione clamorosa al limite dell’area di porta. Ma il suo lob finisce lontano dal secondo palo. La voglia di vincere è così tanta che rischiamo di perderla la partita con Caridi che spara alto un pallone comodissimo su contropiede. Ma alla fine è ancora Bogliacino, con un tiro dalla distanza a sfiorare il 2 a 1 per il Bari. Il pallone finisce sopra la traversa e l’arbitro fischia la fine. Il pubblico applaude con convinzione, anche se è solo un pareggio. I giocatori ringraziano, io gli auguro di poter raccontare, un giorno, di aver visto il San Nicola pieno. Non è impossibile e non dipende dalla categoria. Vado via dallo stadio soddisfatto, nonostante il pareggio. Finchè non ci condanneranno per colpe non nostre non ci resta altro da fare che giocare ed emozionarci. Anche per un punto in casa contro il Grosseto. U Bàr iè fort, ricordatevelo.

ps: oggi su Dribbling (Rai Due) mi sono “goduto” (per modo di dire) l’intervista a Bellavista. Non capisco con che faccia possa dire di essersi pentito dopo aver giocato e guadagnato soldi sulle nostre passioni e sui nostri colori. Non basta chiedere scusa dopo aver vissuto una vita da privilegiato e senza rinunciare a quei privilegi. Si mettesse davvero in gioco. Troppo facile voltare pagina così. Con rispetto, Antonio. Nessuna gogna mediatica, devi solo restituire ciò che è giusto tu restituisca. E non continuare a definirti “capitano” del Bari. La fascia non è per sempre, e tu te la sei giocata.

Prossima puntata: Sambenedettese – Bari, 19 marzo 1989

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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