Quando hai visto un uomo volare non puoi pensare che un giorno il suo cuore possa smettere di battere. Facciamo fatica ad accettare la morte, e ancora di più se essa riguarda un nostro idolo. Ho adorato Franco Mancini e non solo perchè è stato per tanti anni il portiere della mia squadra del cuore. Seguo il calcio da quando ero bambino e non ho mai difettato del dono dell’obiettività. Per questo ho amato il Foggia di Zeman, il suo gioco, la favola della piccola città del Sud che sfida gli squadroni delle metropoli andando ad imporre il proprio gioco ovunque. Quel Foggia aveva molti segreti, uno di questi era un portiere atipico, “moderno” come lo definirebbero gli esperti di pallone. In realtà quel ragazzo era molto più che moderno. Era un valore aggiunto in mezzo al campo. Un portiere che sapeva giocare straordnariamente con i piedi.

Fortissimo nelle uscite basse e abilissimo a guidare la difesa. Non aveva paura dell’uno contro uno anzi, lo cercava se necessario. Zemanlandia è iniziata con Franco Mancini e con Franco Mancini è finita, e non è un caso. Molti pensavano che fosse Mancini che non potesse fare a meno di Zeman, che se lo sarebbe portato ovunque (anche alla Lazio dove per un periodo sostituì l’infortunato Marchegiani). Penultima giornata del campionato di serie B 1996/1997: il Bari si gioca la promozione a Foggia. In porta, nelle fila dei rossoneri, c’è proprio Franco Mancini. Sa già che sarà il portiere del Bari l’anno dopo ma gioca una partita da grandissimo professionista. Infatti il Bari non passa. Poi il Genoa pareggia a Ravenna e la domenica seguente il Bari va in serie A. In molti storcono il naso: Fascetti non è Zeman, a che serve l‘Higuita italiano tra i pali? Invece Mancini si mette a disposizione del nuovo allenatore, arretra il proprio raggio d’azione di venti metri buoni e disputa tre stagioni sensazionali.

Forte tra i pali e nelle uscite, acquisisce ancora più sicurezza grazie all’intesa con Gigi Garzya e Rachid Neqrouz. A loro tre sono legate alcune delle scene di esultanza più belle che io abbia mai visto al San Nicola. Dopo ogni gol si abbracciavano, si stringevano forte e sembrava impossibile, certe domeniche, che potessero capitolare davanti a qualsivoglia avversario. Di ogni giocatore del Bari ho dei ricordi particolari. Se devo sceglierne uno per Franco Mancini non ho nessun dubbio: il 18 gennaio del 1998 il Bari affronta l’Inter di Ronaldo. Una corazzata apparentemente imbattibile con il Fenomeno ai massimi livelli. All’epoca eravamo soliti vedere le partite che i biancorossi disputavano fuori a casa di un amico, uno dei pochi fortunati a possedere la pay per view. Partimmo leggermente in ritardo quel giorno. Eravamo in macchina e ascoltammo alla radio i primi cinque, concitatissimi, minuti. Non potete immaginare quanto potessero essere lunghi contro quel Ronaldo. Mancini parò tutto. Continuò davanti ai nostri occhi per tutto il primo tempo e si superò all’inizio della ripresa. L’Inter attaccò per ottanta minuti durante i quali, ad un certo punto, sembrò impossibile anche a noi che quel portiere potesse essere battuto. E infatti all’ottantesimo fu Masinga a segnare e il Bari portò a casa una vittoria incredibile. Negli ultimi minuti, ogni volta che l’Inter batteva una punizione dal limite, le uniche nostre parole erano: “Santo Mancini pensaci tu”. E così fu. Quel portiere scanzonato entrò nel cuore dei tifosi che gli dedicarono una Macarena.

Lui che suonava la batteria, lui che amava il reggea e Bob Marley, che spesso si divertiva a fare da spalla ad Antonio Albanese, alias Frengo e Stop, durante il periodo d’oro di Mai dire Gol. Il Bari lo cedette al Napoli pensando di aver in casa il portiere del futuro. Quello che aveva vinto il Viareggio e doveva diventare, nei piani di alcuni, l’erede di Buffon. Ma Generoso Rossi deluse, si bruciò, e lasciò il posto ad un biondo portiere venuto dal Belgio, quello che un giorno sarebbe diventato il capitano. Ma allora Gillet era troppo giovane e il Bari retrocesse, privato della sicurezza di una delle colonne portanti della propria difesa. Stasera voglio ricordarlo così Mancini: con quel suo sorriso, mentre salta sotto la curva e abbraccia Garzya e Neqrouz. E se una lacrima mi riga il volto chiedo scusa: lui è un pezzo della storia del mio Bari, quindi della mia vita. Chi sa volare non muore mai. E tu sapevi volare. Cazzo se sapevi volare Franco Mancini.

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

14 Comments —

  1. Grazie mille per questo splendido pezzo. Ho avuto la fortuna di essere “di casa” di Franco e Chiara. Doveva essere il mio testimone di nozze. Posso testimoniare che era un uomo dai grandi principi e valori, un marito e un padre esemplare. Non doveva andare così….ma il suo cuore era troppo grande e non ha potuto parare!!!

    • Cavolo se mi ricordo Daniela. Tuo padre, tra l’altro, è l’autore del tormentone “Santo Mancini pensaci tu” accompagnato dalle dita incrociate che tutti dovevano rigorosamente tenere. Un abbraccio a te, a lui e a tutta la tua famiglia e grazie per il bel ricordo!

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