Ad aprile ci ritroviamo sempre a parlare di salvezza. Quando va bene. Non ricordo un aprile sereno, nella mia storia di tifoso biancorosso, almeno se parliamo di serie A. Però (all’epoca dei fatti) sono poco più che un ragazzo, ho diciannove anni, e in fondo chi se ne frega se il Bari si deve ancora salvare. Se questo pensiero rientra tra le cose che mi tolgono il sonno non ho molto di cui preoccuparmi. Gli esami di maturità al massimo, quelli che racconterò qualche anno più tardi in Domani No, ma tutto sommato vivo alla giornata, e gli esami sono ancora lontani dalla mia stanza, e non solo. Per esempio sono lontani dallo Stadio San Nicola, il 5 aprile del 1998.
Il mio Bari affronta il Milan e deve fare punti per salvarsi. Non importa essere partiti con il piede giusto anche questa volta. Un marzo da brividi ha compromesso tutto, e adesso ci si ritrova a lottare con l’Atalanta, il Vicenza e il Piacenza. Sono rimaste 7 giornate, e il calendario, tra big e scontri diretti non è cortese, anzi. Lo scorgo mentre mi accomodo in tribuna est e “Il Galletto” mi informa che il Bari scenderà in campo con una maglietta celebrativa, diversa dalla solita. Si andrà a Udine, a Piacenza, a Bergamo, si ospiterà il Vicenza e la corazzata Inter. Sì, quella di Ronaldo. La squadra che per gli almanacchi, al netto di rivedibili decisioni arbitrali, perderà lo scudetto proprio per colpa (merito) del Bari.
Poco male, una partita alla volta. Il vento soffia timido, si sta bene anche in maglietta, specie se hai meno di 20 anni e ti pulsa forte il sangue nelle vene. Roba di amori, di passioni, di corse in bicicletta e pomeriggi al sole a non far nulla. Il Bari scende in campo con una maglia anni ’50, come annunciato, e la scritta “Un calcio all’indifferenza” al posto dello sponsor Gio.Bi trasporti. Chissà che fine hanno fatto quelli di Gio.Bi trasporti, se racconteranno ai nipoti di aver sponsorizzato una squadra di serie A. Adesso li cerco su Google. Il Milan gioca in maglia nera. Nera come la stagione della squadra di Capello, partita con i favori del pronostico. Ba e Kluivert i giocatori che avrebbero dovuto fare la differenza. Del primo si ricordano soprattutto i capelli color platino e la smania di somigliare a Denis Rodman, del secondo, personalmente, ricordo soltanto la doppietta al Bari, proprio nella partita di andata. C’ero quel giorno a San Siro. Ricordo il freddo di dicembre e l’odore delle castagne e delle pannocchie (col sale, mi raccomando) prese per strada a Milano. Della partita conservo la noia, fino alla doppietta del misterioso olandese. E la più classica delle frasi “tutti con noi si devono svegliare“.
Fascetti sa che deve vincere. Osa le due punte. Una si chiama Allback ed è arrivato in Italia con la fama del bomber. Deve sostituire l’infortunato Ventola ma di lui si ricorda un palo, un assist (contro il Napoli) e poco altro. Almeno non fa danni. Non inciampa, non rallenta l’azione, non sbaglia gol impossibili. Semplicemente non pervenuto. Ho visto di peggio nella mia vita. Masinga non sembra in palla. Dopo 5 minuti si mangia un gol clamoroso facendosi ipnotizzare da Seba Rossi. Al 14′ della ripresa, ancora solo, cincischia e perde l’attimo per battere a rete. Dagli spalti arriva qualche fischio. Philemon non ha mai rappresentato l’attaccante ideale del tifoso barese. Poco scaltro e molto utile, segna poco ma fa gol pesantissimi. Ne ricordo diversi, quasi tutti decisivi. Alcuni molto belli, come quello con l’Empoli o la girata con la Sampdoria.
Ma il tifoso è severo. Lo vede pesante, macchinoso. Fa fatica a saltare, mi dice il fenomeno seduto accanto a me. Sì, e Zambrotta fa fatica a partire. Manca un quarto d’ora e iniziamo a guardare l’orologio come se si giocasse con la provinciale di turno. Questa partita va sbloccata, non possiamo pareggiarla. Fa niente che l’avversario si chiami Milan, a nessuno quei ragazzi in maglia nera ricordano gli eredi della stirpe divina del berlusconesimo. La difesa poi, con Nielsen, Smoje e Daino, sembra finta. Si soffre però. Donadoni, richiamato in fretta e furia dai Metrostar, costruisce anche un’occasione importante per portare il Milan in vantaggio. Ci pensa Franco Mancini a sbarrare la strada Ganz uscendo come solo lui sa fare. Come un gatto. Potenza e agilità, quanto mi manchi portierone.
Poi accade quello che non si può dimenticare. Quelle scene (minuti, frazioni di secondo) che nel calcio ti rimangono nella mente, magari solo perché alla fine della corsa quel pallone finisce in rete e tu puoi esultare e dire al tuo vicino di posto che no, il calcio non è cosa sua. Abbracciandolo, ovviamente. Zambrotta corre, ma ad un certo punto non si accontenta di correre. Mette il turbo, sulla destra, perché deve lasciare sul posto il suo diretto avversario, che in questo caso è un certo Daino. Zambro va fino in fondo, come nel perfetto manuale dell’assist, e mette in mezzo un fendente alto e calibrato. Morbido, e teso al tempo stesso. Ci provano in tre ad intervenire su quel cross ma nessuno ci arriva. Poi vedi lui. La sua testa lucida e pelata. Il suo passo felpato, nonostante la stazza.
Masinga salta e inclina leggermente la testa verso sinistra. Quel tanto che basta per deviare la traiettoria del cross e la stagione del Bari. Rossi resta immobile, il pallone finisce in rete e lo stadio esplode. Una rete fondamentale per le sorti della stagione. Ve l’avevo detto, vorresti dire. Masinga corre verso la Nord e la maglia celebrativa finisce nel museo della storia. Il Bari vince una partita non indimenticabile, ma i tre punti sono ciò che contano. Phil esulta, il sole scende pian piano ma la giornata prende un’altra piega. Ora si può andare in cortile a farsi crossare il pallone di spugna ed emulare Masinga. E se andrò in porta rimarrò fermo, a guardare il pallone che si infila lì, dove sognare è ancora possibile.
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