L’ultima giornata di andata del campionato 1998 – 1999 si disputa al San Nicola il 17 di gennaio. Il Bari, incredibilmente lanciato verso la zona Uefa e con il quinto posto a portata di mano affronta una Sampdoria in crisi di gioco e risultati. I blucerchiati, in estate, hanno effettuato una serie di cessioni eccellenti ed hanno deciso di puntare tutto sull’argentino Ortega, fenomeno mai davvero sbocciato che mal si sposa con il quattro-quattro-due di Luciano Spalletti arrivato da Empoli per rinfrescare una squadra ormai a fine ciclo, dopo 10 anni di successi e grandi soddisfazioni in Italia e in Europa. Infatti l’allenatore toscano viene esonerato alla 16esima giornata. Troppo triste, a dire di Mantovani e di Vialli (contattato dal presidente per una consulenza), per allenare la Samp che viene dallo humor balcanico di Boskov (Rigore è quando arbitro da, Gullit è come cervo uscito da foresta). Ed è qui che comincia la sfida nella sfida. Al suo posto viene chiamato in panchina una vecchia conoscenza biancorossa, l’ex capitano del Bari (per una stagione, neanche troppo gloriosa): David Platt. L’inglese ha giocato anche nella Samp, conosce l’ambiente, ha il senso dello humor (inglese) tanto caro alla Genova blucerchiata ma, particolare non poco rilevante, non ha il patentino di allenatore. Da qui iniziano le polemiche con Eugenio Fascetti.

Piuttosto che concentrarsi sulla partita l’allenatore toscano lavora in settimana sull’aspetto psicologico, già di per sè molto debole, della Samp. “Se Platt va in panchina io posso mandarci il mio cane” – dice con la sua solita delicatezza qualche giorno prima del match. Il sabato pomeriggio in conferenza stampa afferma, ancora una volta, che “In Italia le regole sono fatte per non essere rispettate. Platt non è un allenatore, a che serve fare dei corsi se poi questa regola non vale per dei supposti grandi giocatori?”. C’è quel “supposti” a sottolineare il tono della polemica. Platt non risponde, preferisce pensare al difficile compito di risollevare la Samp e forse, in cuor suo, non vuole dire nulla contro la Società che l’ha portato in Italia, gli ha messo uno stadio futuristico e una fascia di capitano a disposizione, gli ha fatto conoscere Azzurra e l’ha fatto innamorare. Altre storie. Il 17 gennaio del 1999 fa freddo in tutta Italia, ma non a Bari. C’è il sole, c’è l’entusiasmo di una città che una volta di più si è innamorata dei propri beniamini e allo stadio ci puoi andare senza giubbotto. Una felpa e tanta passione. L’atmosfera è serena. Siamo messi benissimo in classifica e non c’è nulla da temere.

La squadra gioca bene, può accadere solo qualcosa di molto strano (e a Bari certe cose, talvolta, accadono…) per rompere l’armonia del gruppo. Ma non quel giorno: c’è da chiudere il girone di andata alla grande, c’è da conquistare il quinto posto, c’è da mettersi alle spalle l’Inter di Lucescu e la Juve di Lippi che arrancano, incredibilmente, dietro di noi. La classifica dice infatti: Fiorentina, Lazio, Parma, Milan e… Bari. Meglio approfittare. La Lega Calcio, per volere di Campana e Vicini (presidente dell’associazione allenatori) scioglie le sue riserve il sabato pomeriggio antecedente la partita: Platt non può andare in panchina. A fare le sue veci c’è Giorgio Veneri, che ha il patentino di prima categoria. L’ex numero 10 del Bari si accomoda in tribuna. Il Bari ha un altro passo e si vede subito. Osmanovsky fa letteralmente impazzire la difesa doriana, Masinga sembra addirittura veloce in mezzo a Franceschetti e Lassisi. Platt fa esordire Lee Sharpe e lascia il fantasioso (e disastroso) Ortega in panchina, ma anche l’inglese si rivela un mezzo flop nel campionato italiano. La prima occasione è del Bari: traversone da sinistra di Zambrotta per Osma che, indisturbato e all’altezza del dischetto, spedisce in curva nord. Il gol del Bari è nell’aria e arriva al 34′: punizione di Innocenti e i nostri due attaccanti si scambiano i ruoli. Osmanovsky va a colpire di testa al limite dell’area e con un sponda perfetta serve Masinga spalle alla porta. Ho sempre avuto problemi con gli attaccanti del Bari spalle alla porta.

Ho sempre avuto poca fiducia in loro, a meno che non si chiamassero Joao Paulo, Protti o Tovalieri. O a meno che non fossero in stato di grazia come Masinga nel ’99. Il sudafricano mette palla a terra, la difende con il piedone destro e con le sue spalle imponenti, da granatiere. Poi si gira in un fazzoletto, alla sua sinistra, e lascia partire un rasoterra di destro. Pallone sul primo palo, carambola sulla faccia interna del montante e rete. Un colpo di biliardo. Uno a zero. Lo stadio esplode, Masinga fa un gesto eloquente con la mano, come a dire “Ma che gol ho fatto?“. La Samp risponde con il barese Palmieri ma Franco Mancini è bravo ad anticiparlo in uscita. Il primo tempo si chiude con un calcio di rigore richiesto dal Bari per un fallo di mano ma Treossi opta per l’involontarietà. Il secondo tempo si apre con un’azione da manuale del calcio. Un’azione del Bari di Fascetti: quello che fa il catenaccio, quello che pensa solo a difendere e marca a uomo il fantasista avversario con Manighetti o De Ascentis. Zambrotta chiede triangolo ad Andersson e lo riceve. Poi taglia il campo centralmente e serve Osmanovsky che accorre da destra. Cross basso al centro per l’inserimento del libero De Rosa che, a porta ormai spalancata, deve solo appoggiare in rete. Una delle azioni più belle che io ricordi del Bari. In una delle partite più spettacolari.

Il mio amico Francesco, compagno di stadio e di tribuna est si lascia andare ad un estasiato… “Mò, e ci è u Brasil…!” – tipica espressione tutta barese per dire che la squadra pratica un gran bel calcio. I galleti si specchiano e iniziano a fare ciò che Fascetti non vuole: colpi di tacco, finte, giochi di punta, cose che insomma a Bari sono sconosciute da sempre. E così, quasi casualmente, la Sampdoria trova la forza per tornare in partita: prima colpisce un palo con Montella, poi accorcia le distanze con un gran tiro di Laigle da fuori area, che si infila all’incrocio. Poi tocca a Mancini mettere una pezza su Doriva. Fascetti cambia assetto e inserisce il fantasista (mai troppo apprezzato) Olivares al posto di De Ascentis. Una mossa a sopresa: un fantasista per un mediano. Fascetti non sta bene – penso. Osmanovsky intanto continua a sprecare l’impossibile provando degli improbabili pallonetti a portiere battuto. Ma è proprio Olivares, a metà secondo tempo, a sfruttare un invito prezioso del danese Madsen, un giocatore legnoso ma utilissimo alla causa, insaccando per la terza volta. Si esulta. Una partita già vinta era tornata pericolosamente in bilico. Adesso è ancora più bello godersi la vittoria. C’è ancora il tempo per un’occasione che capita sui piedi di Masinga per il 4 a 1 e per una bella parata di Mancini su colpo di testa di Pecchia. Ma finisce così: 3 a 1. Una bella vittoria che ci permette di chiudere il girone di andata al quinto posto. Un risultato incredibile che fa intravedere orizzonti di gloria. Le abbiamo affrontate tutte e nessuno ci ha messo sotto. Perchè non crederci?

ps: la risposta al “Perchè non crederci” ve la do subito. Una settimana dopo la “società” Bari e i giocatori tutti si fanno infinocchiare (nel vero senso della parola) dal Venezia. Anche se la procura federale ha chiuso il caso mi assumo la responsabilità di affermare che in quella partita le squadre si misero d’accordo per il pareggio. Poi successe quello che successe. Ma questo lo racconterò in un’altra puntata.

pps: la Sampdoria richiamò Spalletti dopo poche giornate, ma retrocedette a  fine stagione assieme all’Empoli, alla Salerintana e al Vicenza. L’annata disgraziata dei doriani si concluse con due incredibili partite: a Milano contro il Milan che avrebbe vinto lo scudetto i blucerchiati rimontarono per due volte e, a dieci minuti dalla fine, sbagliarono incredibilmente il terzo gol (che avrebbe dato anche lo scudetto alla Lazio) con lo sciagurato Catè. Poi presero gol con un’incredibile autorete su tiro di Ganz al 96′ che li condannò alla sconfitta. Una settimana dopo pareggiarono a Bologna 2 a 2 e un rigore di Ingesson all’ultimo minuto sancì la retrocessione dei liguri.

prossima puntata: Bari – Taranto, 27 settembre 1992 

 

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