Il calcio ha la memoria corta. E spesso gli almanacchi sono libri troppo freddi per celebrare le gesta di un eroe, anche se si tratta di un eroe sportivo. Ecco perchè scrivo questa rubrica. Per cantare le imprese di piccoli grandi personaggi che hanno infiammato la passione della nostra città. Una canzoncina molto semplice, direi quasi popolare, in voga a Bari tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 diceva: “Sai chi è quel giocatore che assomiglia al magico Pelè?“. Credo che a Bari tutti abbiano la risposta pronta. Quel giocatore è stato, e per molti è ancora, Sergio Luis Donizetti, in arte Joao Paulo. Giocatore fantasioso, con un gran sinistro (celebri le sue punizioni) e un dribbling ubriacante. Joao è stato l’idolo di molti di noi, per lo più di quei ragazzini cocciuti e fantasiosi che il pallone non lo passavano mai e si intestardivano nel dribbling fino a perderlo, cosa che a lui, Joao, succedeva molto raramente.

Ma soprattutto è stato un grandissimo giocatore, uno dei più validi tecnicamente che Bari abbia mai conosciuto e probabilmente la sua carriera sarebbe stata ancora più gloriosa se Marco Lanna, con la complicità della pioggia, non avesse deciso di interromperne la carriera con un intervento da killer in un Bari – Sampdoria del 1991. Il 19 maggio del 1991 il Bari gioca una delle partite più importanti della sua storia recente. Siamo alla penultima giornata di un campionato emozionante, pieno di colpi di scena, in un certo senso irripetibile, non solo per noi baresi. Si tratta della stagione in cui viene introdotta la regola del rosso per il fallo da ultimo uomo, la Roma perde Peruzzi e Carnevale a causa del Lipopil (un giorno mi spiegheranno perchè tutti si dopavano contro il Bari…), Maifredi guida la Juve ad uno dei peggiori piazzamenti della propria storia, il Parma (neopromosso) e il Genoa stupiscono e si piazzano tra le prime sei, ma soprattutto la Sampdoria di Vialli e Mancini vince lo scudetto. Fantacalcio.

Alla penultima giornata Samp e Milan si giocano lo scudetto rispettivamente contro Lecce e Bari. Un incrocio pericoloso nel quale sono in palio non solo lo scudetto ma anche la salvezza di una delle due squadre pugliesi. Nulla è scritto, il Milan può giocarsi ancora le sue carte e per farlo deve vincere a Bari. Anche per i galletti di Salvemini c’è un solo risultato: vincere. La sfida appare impari sulla carta, il Milan ha tutto per distruggerci, il Bari è in difficoltà e si aggrappa ad un San Nicola stracolmo di entusiasmo e bandiere. Io non ci sono però. Ho 12 anni e mio padre quella volta decide di non portarmi allo stadio. Non ricordo perchè, ricordo solo che ci rimasi malissimo e mi attaccai alla radiolina in attesa di notizie. Un piccolo trauma per un bambino che non aspettava altro che vedere i suoi idoli giocare. E allora non c’erano dirette televisive, solo quegli orrendi sottopancia di Domenica In che annunciavano i risultati e il destino delle squadre.

Santa radio, maledetta radio, non si può soffrire così, non ci si può giocare una salvezza aggrappandosi ad una voce e a degli interventi da studio quando i tuoi amici sono andati a sentire gli odori del campo. E comunque la Samp sblocca subito con Cerezo, buon segno. Il Lecce perde. Un minuto dopo, è il 3′ al San Nicola, Joao Paulo elude il fuorigioco e il braccio (sempre) alzato di Franco Baresi. Si ritrova solo e sblocca il risultato. Sembra l’inizio della festa, il Bari è in vantaggio. Io prendo la radiolina e mi lascio andare ad una corsa liberatoria con scivolata finale sulle ginocchia con rischio frattura nei pressi del bagno. Mia madre mi chiede se voglio andare al cinema. Al cinema. Il mio Bari si sta giocando la salvezza e lei mi chiede se voglio andare al cinema. Faccio finta di non sentire e immagino, attraverso la voce del radiocronista, quello che sta accadendo al San Nicola. “Attenzione, interrompo dal San Nicola – a volta certe interruzioni sono un colpo al cuore e la voce di Ameri non era accompagnata dal boato giusto – pareggio del Milan, Marco Simone.

Quindi, al 53′ minuto Bari 1 – Milan 1″. Silenzio anche a casa mia. Penso che la colpa sia tutta di mio padre che non mi ha portato allo stadio. A volte, anche nel calcio, si sente proprio il bisogno di prendersela con qualcuno. Uno che non ti ha portato con sè allo stadio per esempio. E adesso rischiamo di retrocedere. Fortuna che il Lecce perde. Dieci minuti di pensieri, poi lo sento davvero il boato giusto, arriva dritto dal San Nicola e dalla radio: “Qui San Nicola, attenzione nuovo vantaggio del Bari, gol eccezionale di Joao Paulo che infila tutta la difesa, aggira il portiere e deposita in rete. Adesso tutti i giocatori sono sotto la curva Nord ad esultare! Bari in vantaggio, linea a Genova!” Cosa feci in quel momento non è dato sapere. Forse scesi in cortile a gridare, non me lo ricordo. Però mi ricordo il rumore delle trombe e dei clacson di quando questa città, la mia, sapeva ancora entusiasmarsi. E poi avrei voluto essere allo stadio per raccontare meglio, oggi, tutti le parate e i miracoli di Giuseppe Alberga, portiere di riserva, eroe per un giorno, mai troppo celebrato per quella partita.

Mio padre quando tornò dallo stadio mi disse che aveva parato tutto, che Joao era stato grande ma anche lui, Alberga, quello che a stento sapeva esprimersi in italiano, ci aveva tenuto a galla. No, non ero arrabbiato con mio padre. Il Bari aveva vinto e io potevo andare in cortile a festeggiare tirando calcio ad un pallone. Lecce in B, Bari in A. Non ricordo di aver visto mai più tante maglie di Joao come quel giorno. Di tutti i tipi: originali, taroccate, con lo sponsor Sud Leasing o Sud Factoring. Poi tornai a casa per vedere la differita della partita. Rai Due all’epoca trasmetteva uno dei secondi tempi della giornata e scelse quello di Bari, quello in cui si imposero all’attenzione generale un brasiliano dal dribbling ubriacante e un portiere di riserva senza paura. Rividi quel gol del 2 a 1 finalmente: Joao che sceglie il tempo dello scatto, mette a sedere il portiere, si allarga sulla destra fa una finta e fa sedere anche Baresi e Maldini prima di insaccare. Altro che Pelè, altro che il cinema.

Note: a fine partita un giornalista chiese a Matarrese se Bari non meritasse qualcosa di più che non fosse una salvezza all’ultima giornata. Una domanda che mi sono abituato a sentire spesso nel corso degli anni. Come al solito lui annuisce e fa promesse a vuoto. “Non voglio soffrire più, altrimenti non farò più il Presidente“. Quella volta però la promessa la mantiene. Spende soldi, compra Platt, si svena e costruisce una presunta corazzata. Che l’anno dopo retrocede in B. E’ l’inizio della fine. Di una delle tante fini. Ma questa è un’altra storia.

ps: a proposito di Joao, vi consiglio il libro di Francesco Marocco: “L’estate in cui il Bari comprò Joao Paulo” edito da La Meridiana nel 2006.

prossima puntata: Bari – Foggia, 4 dicembre 1994

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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