Una squadra è grande quando sa mettersi alle spalle prestazioni negative e sconfitte. Una squadra è matura quando è continua e sa di esserlo. Ecco la differenza tra questa Juventus e le altre. Due partite perse, le più antipatiche, quelle che nessun tifoso vorrebbe perdere, e nessuna conseguenza sulla classifica e sul morale. Anzi. Ne fa le spese stavolta il malcapitato Torino che si mette l’abito ormai sdrucito del derby e viene letteralmente demolito, nonostante i buoni propositi di Ventura. A tal proposito, quello della Mole è un derby che ha ormai perso il fascino di una volta. La statistica dice che in qualunque piazza vincitori e vinti si sono sempre alternati, chi più chi meno, nonostante i disequilibri economici e sportivi.

Anche negli anni dello straripante Manchester United lo sfigatissimo City (prima dell’avvento degli sceicchi) portava a casa qualche vittoria. E lo stesso accadeva a Liverpool con l’Everton, a Madrid con l’Atletico e persino a Barcelona con l’Espanyol. A Roma, Milano e Genova non esiste un favorito, a Torino sì: lo dicono i numeri. Inquietante quello relativo all’ultima vittoria del Toro. Era il 25 gennaio del 1995. Una doppietta di Rizzitelli e una rete di Angloma a 4 minuti dalla fine regalarono la stracittadina ai granata. Sono passati quasi 18 anni, un’eternità. A memoria credo che in nessuna città d’Europa accada qualcosa del genere. Sulla partita (l’ultima in campionato con Conte chiuso nella ghiacciaia) c’è poco da dire.

Una pratica sbrigata facilmente grazie ad una prova maestosa di quel grandissimo giocatore che è diventato, o forse è sempre stato, Marchisio. Adesso la Juve si prepara alla trasferta di Donestk dove basterà un pareggio per andare avanti in Champions. Ci sperano tutti, comprese le inseguitrici. In fondo i due stop bianconeri sono arrivati a cavallo tra gli impegni europei e Napoli e Inter non hanno la Champions. I partenopei distruggono il Pescara (ora sì che la situazione degli abruzzesi è delicata) e si preparano ad un’importantissimo esame di maturita domenica a San Siro contro l’Inter. La mia impressiona è che al Napoli manchi solo un po’ di convinzione e qualche lampo di imprevedibilità, soprattutto nelle partite difficili da sbloccare. Ma quella la dava Lavezzi che non c’è più. A proposito di derby, un’annotazione va fatta. Napoli è l’unica grandissima città Europea che ha una sola squadra. Questo vuol dire che tutta la città, tutto il bacino di tifosi, è dalla sua parte. E allora se c’è una società solida, un allenatore bravo (peccato per quella confessione sull’anno sabbatico), un centravanti eccezionale e una tifoseria inimitabile perchè dovrebbe essere vietato sognare? Ce lo dirà appunto lo scontro con l’Inter.

Da bene bene a male male (finora aveva alternato belle prestazioni ad altre sciagurate) l’Inter di oggi è stata una squadra da benino. Un golletto su autogol (sembra quasi uno schema, dopo quella del Cagliari) e tre punti che le consentono di restare aggrappata al treno. La partita non è stata indimenticabile e c’è da dire che Cassano si vede soprattutto quando manca. L’Inter vince la partita quando escono Zanetti, Milito e Cambiasso, tre mostri sacri. Coraggiosa la scelta di Stramaccioni, ripagata più dalla fortuna che dalla sagacia. Ma a livello psicologico mi è sembrata la mossa giusta. La Lazio merita una citazione particolare. Per solidità e concretezza la vedo meglio della Fiorentina che la precede. I viola sono più spettacolari ma i biancocelesti hanno Klose che segna con una regolarità impressionante e tiene in apprensione le difese avversarie per novanta minuti.

Credo che sia uno dei 5 giocatori di questo campionato in grado di fare davvero la differenza. A voi indovinare chi sono gli altri. La Roma avanza, terza vittoria di fila e squadra che iniza ad avera una propria identità. Zeman, al secondo gol, si lascia andare persino ad una timida esultanza, e sono notizie. Esulta anche Destro, finalmente un ex che non si fa scrupoli. E questo ragazzo, ancora giovanissimo, inizia a lanciare segnali importanti al calcio italiano. Non è l’unico. El Shaarawi in questo momento è uno dei giovani attaccanti più promettenti d’Europa. Il Milan se lo goda. Questo non è e non sarà un campionato indimenticabile ma il piccolo faraone sarà il crack del futuro. E se davvero dovesse arrivare Balotelli a gennaio si potrebbero mettere le basi per una rinascita made in italy. La new italy, quella multiculturale, multirazziale e talentuosa. Come quei due. Talentuosa come un altro ragazzo al quale dedico la mia copertina.

Si chiama Alberto Paloschi ed è l’attaccante del Chievo di Corini che sotterra il suo maestro Del Neri. Alberto ha già tanti infortuni alle spalle. Al Milan dicevano che era il nuovo Inzaghi, poi si è un po’ perso o semplicemente sono cambiate le mode. L’ultima era quella dell’attaccante muscolare, che si mette al servizio della squadra e fa reparto da solo. Paloschi ha però una dote che nel calcio fa ancora la differenza. Fa gol. E vede la porta come pochi. Tre solo oggi e pallone a casa. Ha solo 22 anni e tanti gol ancora davanti. A livello di nazionale, con queste premesse, siamo messi bene. La stoffa c’è. Adesso bisogna essere bravi a tesserla.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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