Leonardo vive a Brescia. Non è più il ragazzino che usciva in fretta e furia da scuola per andare a vedere il Bari allo stadio delle Vittorie. Sono lontani quei tempi e, nella nebbia di Santa Eufemia pensa, con un pizzico di nostalgia, a quei pomeriggi infinti. Mille lire di focaccia, solo a Bari si può scegliere la quantità del proprio desinare misurandolo in denaro. Leonardo lavora adesso, in un ipermercato. Ha una figlia di un anno e ogni tanto ripensa a quella volta in cui, in sella al suo motorino, vide un bambino che si dimenava in macchina, con tanto di sciarpa del Bari, per salutarlo. Andavano entrambi a vedere il Bari. Una squadra di serie C che quel pomeriggio eliminò dai quarti di finale di coppa Italia niente popodimeno che la Juventus di sua maestà le roy Platini.
Sono passati 13 anni o poco più. Il bambino si appresta a diventare maggiorenne ed ha deciso che studierà a Milano. La lontananza non lo spaventa, la vi d’sus neanche. Vuole sentirsi metropolitano, o almeno alla mamma e al papà ha detto così. Il 24 settembre del 1997 Leonardo e quel bambino, ormai adulto, si ritrovano allo stadio Rigamonti. Fa freddo per essere settembre, e il pubblico di casa non aiuta. Certo, è una partita di Coppa Italia, ma sembra di stare a teatro più che ad uno stadio. Leonardo e il ragazzo non si riconoscono. Lui non è solo, ed è passato troppo tempo. Forse semplicimente non è lui, pensa il bambino diventato adulto e il tempo è passato troppo in fretta da quella volta in cui gli regalò una sciarpa. Forse è tutto un film. Anche perchè la curva è quella del Brescia. E non mi chiedete che ci fanno questi due nella curva del Brescia; avranno le loro buone ragioni. Il quasi diciottenne accomapagna una ragazza della quale è innamorato perso.
Tanto da prendere un treno di notte e saltare due giorni di scuola. Oggi può dirlo alla madre che quella volta non andò in gita, ma a trovare Veronica, la ragazza conosciuta a Peschici l’estate prima. Occhi azzurri e sorriso ammaliante, una maglia dei CCCP come promessa. Amarti m’affatica, mi svuota dentro, qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto, diceva la loro canzone. Ci ameremo all’infinito vedrai. E se non vivremo sul mare, vivremo sul lago. Veronica si diverte a seguire il suo Brescia e lui accetta la sfida. Vengo in curva con te. Appena entrato si accorge però che in quel settore dello stadio non c’è tanto da scherzare. Meglio stare muti, l’accento tradisce e come. E così prova a stringersi in un giubbotto jeans che non lo riscalda affatto dalle folate di vento e nebbia. Poi avvicina le sue mani a quelle di Veronica. Intanto scendono in campo le squadre. Fascetti si affida al blocco dei titolari. Mancini, Sala, De Rosa, Sordo, Ventola e Masinga. Anche il Brescia però non si risparmia: c’è Hubner e ci sono Diana, Adani, Neri, Sabau e un giovanissimo fenomeno in panchina. Si chiama Andrea Pirlo e da queste parti dicono che diventarà un campione, c’è da giurarci. Intanto a centorcampo ci sono i gemelli Filippini, quelli che al fantacalcio li puoi schierare a seconda di chi ha giocato meglio. Un trucco utilizzato per troppi anni. Io ho Antonio. Io ho Emanuele.
E nessuno ci capiva mai un cazzo. Forte del vantaggio maturato all’andato (vittoria per 1 a 0) il Bari si copre e gioca in contropiede. Il ragazzo segue le ripartenze della sua squadra con malcelata indifferenza, tra sciarpe bianche e blu e imprecazioni incomprensibili. Veronica ride. E quell’uomo qualche fila sotto di lui sembra proprio Leonardo. Ma non può essere lui. Nel frattempo Ventola e un certo Binz vengono alle mani e l’arbitro è costretto a espellerli entrambi. Passano un paio di minuti e Neri viene steso in area, senza troppi complimenti. Rigore per il Brescia. Sul dischetto si presenta Hubner, che sbaglia. Ehhh Pota! Grida qualcuno. Passano cinque minuti e un arbitro davvero poco pietoso nei confronti di un ragazzo capitato nella curva sbagliata assegna il secondo (in realtà ineccepibile) rigore. Stavolta espelle anche Neqrouz. Hubner, come in un vecchio sketch di Paolo Rossi (quello di Beccalossi) riprende il pallone in mano. Stavolta lo segno, sembra dire la sua espressione. Mancini va da una parte e il pallone dall’altra. Fuori. Secondo rigore sbagliato. Una barzelletta. Finisce il primo tempo. Si gioca in 10 contro 9 ma a questo punto può succedere di tutto.
Anche scoprire che il ragazzo e quell’uomo si sono conosciuti proprio in uno stadio, 13 anni prima. Basta un occhiolino. Un cenno di intesa. Un modo per dire, sì sono proprio io. Ma che ci fai qui anche tu? Secondo tempo: nel Bari non c’è più Masinga, sostituito da un’agile punta esterna. Quel Gianluca Zambrotta che un giorno diventerà il terzino campione del mondo. I minuti scorrono e Mancini sale in cattedra con qualche bella parata che tiene il Bari a galla. Fino al 71′ quando Adani svetta di testa e fa esplodere tutta la curva meno due. Che somatizzano il vento gelido che viene dalle montagne. In fondo è solo coppa Italia, chi se ne frega. Un cavolo. I supplementari sono alle porte quando sempre Adani decide, con un’entrataccia, di ristabilire la parità numerica. 9 contro 9, gli schemi che saltano totalmente, se mai ci sono stati. Il Bari esce dal bunker e un secondo prima della fine De Ascentis recupera un pallone a centrocampo lanciando l’inesauribile Giorgetti, fino a quel momento, in realtà, piuttosto abulico.
Dodo supera mezza squadra del Brescia in velocità, gemelli Filippini compresi. Arriva sul fondo, mette in mezzo e pesca proprio Zambrotta che di mezza girata infila Zunico. In fondo è solo coppa Italia. In fondo un cazzo. E’ un pareggio della madonna in una partita eroica. 9 contro 9, con due rigori sbagliati dal Brescia e per di più restando 90 minuti zitti nella curva avversaria. Ecco perchè nonostante gioiscano interiormente tutto lo stadio capisce che quei due, il ragazzo e l’uomo qualche fila più in basso sono baresi. Ma tanto baresi. L’arbitro non fa neanche riprendere il gioco. Veronica accarezza i capelli del ragazzo, ne capisce la felicità. Si scopre contenta per lui. Il quasi diciottene corre verso Leonardo e l’abbraccia. Ma cosa ci fai anche tu qui? Gli dice.
Lavoro qui, sono venuto con due amici bresciani.
Forza Bari.
Sempre.
Eccola, la poesia del calcio. Quel Sempre. Nella buona e nella cattiva sorte, in 10, in 9, in B, in C, in A. Insomma, sempre.
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