I punti sono gli stessi. La classifica sorride, la giornata è la penultima d’andata. La storia dice che è il nostro turno: eccolo, finalmente, il posticipo della domenica. Quello che sognavi da bambino, quello che ti cambia i programmi, che ti permette di mangiare le zeppole in santa pace senza ingozzarti, sentire le partite alla radio e aspettare il tuo turno. Sembra normale, oggi, ma nel 1995 vedere lo stadio illuminato ti mette addosso euforia. Mi sento scombussolato e non sono l’unico. A che ora devo andare allo stadio, cosa mi porto da mangiare, e se poi non mi fanno entrare con tutto questo ben di Dio? L’avversario è il Milan ed ha gli stessi nostri punti. Non è uno scherzo. Nonostante le ultime sconfitte (3 per la precisione contro Torino, Parma e Roma) il Bari ha disputato un grande girone d’andata. Neopromossi e non sentirlo, grazie ad una squadra di giovani interessantissimi puntellati dall’esperienza del bomber Tovalieri (che però in serie A non si è mai espresso ad altissimi livelli prima di allora) Barone e Gerson.
Insomma, non uno squadrone, ma Materazzi sa come farli correre. Insomma sono le 18 e comincio a chiedermi se non sia ora di avviarsi verso le stadio. Buio è buio, ci mancherebbe siamo a gennaio inoltrato e non si può dire certo che sia la serata ideale per giocare a pallone. In un altro stadio magari. Perchè il San Nicola di Bari, il 15 gennaio del 1995 vuole proprio dimostrare a tutta l’Italia, in diretta su Telepiù, che razza di astronave è. Incontro un amico che frequenta la curva nord, mentre sono intento a salire in macchina con mio padre. Abbiamo preparato una grande coreografia – mi dice – vedrai lo stadio illuminato a giorno. Gli credo, annuisco, un po’ lo invidio. Io sono sempre andato in tribuna est. Mio padre dice che quando avrò 18 anni potrò andare dove voglio ma adesso no, la curva è pericolosa, c’è brutta gente e non si sa mai. Mio padre dice sempre che non si sa mai. Ma l’importante è esserci insomma. Poi ci penseranno loro ad illuminare lo stadio. Io intanto la partita la registro, così poi posso tenermi la videocassetta del primo posticipo in serie A della storia del Bari. Arriviamo allo stadio e a stento riusciamo a parcheggiare.
Macchine assiepate ovunque, code ai botteghini, l’odore dei panemmerda che si sono attrezzati per l’evento. Le sciarpe del Bari, le magliette di Tovalieri e Savicevic, gli immancabili doppiofedisti che prendono posto ovunque, nello stadio. Mangio il mio panino col salame. Quello che mi sono portato dietro da casa. Devo ammettere che ha un altro sapore, allo stadio. Non so dire se è più buono, di certo ha un altro sapore. Quello dell’attesa. Di una partita che non inizia mai. Prendo tempo. Mi guardo intorno, leggo Il Galletto, spulcio le formazioni, commento i risultati del fantacalcio. Poi arrivano le 20.30. Un orario che ha sempre avuto un grande appeal su di me. Quando ero più piccolo era l’orario preferito dai pubblicitari, quelli della Fininvest che crearanno una generazione e un governo di pubblicitari. Se ti dicevano “alle 20.30” voleva dire che quell’appuntamento non potevi proprio perdertelo. Chissà cosa è successo dopo. Perchè quelle 20.30 sono diventate le 20.45, poi le 21, poi le 21.15, a volte addirittura le 21.30. Non è la stessa cosa, questi orari non hanno la stessa musicalità. La curva nord accende i primi fumogeni. Uno, poi dieci, poi cento, poi pian piano tutta la balconata superiore si illumina. Parte l’applauso e tutti pensano che in quel momento l’Italia calcistica ci sta guardando. Ecco, per un po’ avete fatto a meno di noi, ma adesso siamo tornati. Vi eravate dimenticati di Bari? Eccoci.
Lo stadio applaude, l’inizio della partita è rimandato, di 5 minuti, non si vede nulla, solo fumo bianco. Intravedo le formazioni (che non ho sentito) e capisco che è Gerson a sostituire Bigica. Ci mancherà il giovane capitano. Capello sceglie una squadra a tre punte, con Massaro e Simone supportati da Savicevic. Minuto numero 10: cross preciso di Donadoni, testa di Massaro sul quale Fontana è strepitoso. Massaro riprende il pallone spalle alla porta, si coordina e inventa la rovesciata che porta i rossoneri in vantaggio. Lo stadio non si scompone. Siamo qui per la festa, mica per battere il Milan. Anche se l’idea di superarlo ci stuzzica. Manighetti ci prova a scuotere Rossi, ma il suo è un tiro innocuo. Per batterlo ci vuole ben altro. Il Bari corre il doppio e si vede, ma è confuso, farragginoso direbbe Pizzul. Gautieri è un cavallo impazzito, Pedone non sembra in serata e allora deve pensarci lui. L’opportunista. Quello che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Il Re Mida dell’area di rigore. Minuto 30: Barone lascia partire un sinistro senza pretese.
Ma non ti chiamano Cobra per caso. Ti chiamano così perchè sai essere velenoso, cattivo, rapace. E il tiro di Barone finisce casualmente tra i piedi del Cobra Tovalieri. Il suo controllo, non si sa quanto voluto, manda al tappeto Costacurta. Il suo tiro, sporco, ha il potere di far cadere il portierone del Milan dalla parte sbagliata. Lui va a destra e il pallone, lento, non si sa come, si insacca alla sinistra. Pareggio e delirio al San Nicola. Può partire il trenino. Quello certificato. Quello della stagione di grazia 1994 – 1995. Il Bari c’è. Ma un giocatore eccezionale sta per irrompere sul San Nicola. Il Milan fraseggia: Simone taglia l’area di rigore per Massaro che lascia scorrere verso il dischetto del rigore dove Savicevic, con un preciso rasoterra batte Fontana per l’1 a 2. Per il Montenegrino è il terzo gol. Ne farà quattro, in una sera. Secondo tempo: punizione di Albertini, Savicevic di testa e 1 a 3. Passano cinque minuti e Amoruso buca su un lancio di Donadoni. Controllo di Savicevic e sinistro potente alle spalle del povero Jimmy.
Che appare sconsolato. Come me. D’accordo perdere, ma così no. Ci stanno distruggendo. E Materazzi fa un cambio sensa senso inserendo Paolo Annoni al posto di Amoruso. Un terzino per recuperare tre gol. Eppure il ragazzo spinge. E al 20′ si procura un calcio d’angolo. Gerson batte, Pedone prolunga e al centro dell’area indovinate chi c’è? Proprio lui, il Cobra, prontissimo a ridare fiato ai 50.000 del San Nicola. 2 a 4, almeno è una sconfitta più dignitosa. Gerson ci crede, fa uno dei pochi dribbling da brasiliano della sua carriera (lui mediano di contenimento più europeo che sudamericano) e viene messo giù, al limite dell’area, nientepopodimenoche da Franco Baresi. Calcio di punizione del limite. Rossi sistema la barriera, Barone il pallone ma a sorpresa Pedone, senza nessuna rincorsa, calcia il pallone verso la porta. Mi alzo per guardare dove va a finire quel pallone e in un attimo mi ritrovo sommerso dall’entusiasmo del mio stadio. Come se fossimo andati in vantaggio e invece siamo ancora sotto, ma vuoi mettere che soddisfazione questa rincorsa? Stiamo rimontando, 3 a 4 e mancano ancora 15 minuti. Possiamo farcela. Vai Ciccio, prendi quel pallone dalla rete.
L’Italia ci guarda, e la stiamo facendo divertire. Mi illudo, tutti si illudono, ma non hanno fatto i conti con quei due marziani. Uno si chiama Donadoni e dispensa il terzo assist per Savicevic che con il suo quarto gol (un diagonale rasoterra angolato) chiude i giochi. 3 a 5. Il risultato non cambia più ma il Bari esce tra gli applausi. Scroscianti. Quella rimonta accarezzata mi fa tornare a casa con un sorriso, anche se la mia squadra ha perso. Non vedo l’ora di rivedere la videocassetta, penso. Quella del primo posticipo di serie A del Bari su Telepiù. La conservo ancora, anche se non ho più il videoregistratore.
ps: un particolare molto interessante di quella partita riguarda un giovane raccattapalle di 12 anni che a fine partita andò dal mattatore della gara a chiedere, in maniera impertinente, una foto. Savicevic gliela concesse ignorando che un giorno quella piccola peste avrebbe indossato la sua stessa maglia. Dopo aver indossato quella del Bari, della Roma, del Real Madrid e delle Sampdoria.
Prossima puntata: Atalanta – Bari, 10 aprile 1996
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