Una domenica di fine gennaio. Come tante. La sveglia alle 9, quel borsone da preparare in fretta e poi via, in motorino fino al Di Cagno Abbrescia, teatro di epiche sfide di un improbabile campionato mattutino chiamato, chissà perchè, serie B. La tua squadra si chiama Tanzi United. Un modo un po’ rock e molto anglosassone per ringraziare il cartolaio che vi ha comprato le maglie e i pantaloncini griffati da Abm Sport. Che fantasia. Indecisi tra Real, Atletico e Dinamo avete scelto il suffisso United. Gli avversari si chiamano Pan per Focaccia, Coeni, Pugliasfalti, Divine, Pan Travel e ogni domenica si lotta su tutti i palloni, su un campo di terra battuta che a gennaio è un pantano. Terzino sinistro. Ti piace spingere e sei ordinato quanto basta per far felice un allenatore. Sei il più grande di età e per molti il più responsabile, per questo ti hanno dato la fascia di capitano. Hai una caratteristica insolita per un numero 3: adori il colpo di tacco. Uno che si ispira a Roberto Mancini dovrebbe giocare con il numero 10, se solo avesse classe. Invece tu non ne hai. Corri, lotti, meni e ti sporchi di fango. Ma quel cazzo di colpo di tacco devi provarlo per forza, tutte le volte. Anche quella domenica la Tanzi vince. Soffre, ma alla fine riesce a spuntarla contro la Coeni, 3 a 1. Tua madre e tuo padre ti aspettano per il pranzo della domenica. Ore 13 piatto a tavola. Pasta al pomodoro, involtini di carne, patate al forno e zeppole, che senza quelle che pranzo della domenica è? Poi tuo padre accende la radio.

Il Bari gioca a Roma, è la prima giornata di ritorno. All’andata il nuovo acquisto Guerrero si presentò al pubblico del San Nicola con alcuni dribbling ubriacanti. Applausi a scena aperta per il colombiano. La speranza di vedere un nuovo Joao. Ah, Joao. Non fosse stato per Lanna. Ma fu Beppe Signori a siglare il gol che diede i tre punti alla Lazio. Qualcosa è cambiato però. Il Bari è più forte, più consapevole, sa di poter contare su una squadra quadrata. Bigica, Gerson, Manighetti e Pedone a dar supporto a Tovalieri, uno che appena tocca il pallone lo mette in porta. Tuo padre accende la radio verso le 14 e 15, come di consueto. Il tempo di ascoltare le formazioni, le ultime dai campi. Fuori inizia a piovere e il tono di quel radiocronista non è proprio quello della festa. Si parla di incidenti, di un ragazzo ferito, di uno stupido litigio. Linea ad Ameri. Poi a Ciotti, infine Provenzali, ma il campo principale diventa improvvisamente quello di Genova. Un ragazzo di 25 anni, Vincenzo Spagnolo, e’ stato ferito, dicono, con una coltellata poco prima della partita Genoa – Milan, in uno scontro fuori dallo stadio. E adesso che succede? Chiedi a tuo padre. Lui si avvicina alla radiolina, la prende, se la porta all’orecchio. Come se si sentisse in colpa a spiegare ad un ragazzo di quasi 16 anni perchè si debba rischiare di morire per una partita di calcio. A Roma si gioca. Il Bari inizia la sua partita contro la Lazio. Dappertutto si gioca, anche a Genova. Nessuno ha detto niente alle due squadre. La radio sta dicendo che la Lazio di Zeman sbanda in difesa. Il Bari è cinico, tira in porta due volte. Al 28′ trova il vantaggio con il solito Tovalieri. Un preciso sinistro, al volo su un invitante cross dalla destra di Bigica.

Prodezza preceduta da una diabolica finta che mette fuori tempo il suo implacabile e fin troppo rude controllore, Chamot, e fuorigioco l’attento Marchegiani, che pur gli aveva chiuso tutti gli spazi. Interrompo dall’Olimpico, il Bari si è portato in vantaggio sui padroni di casa. Musica per le tue orecchie distratte. A fine primo tempo ti distrai, ti dimentichi di quel ragazzo. Nel frattempo a Genova sta succedendo il finomondo. Tu pensi a Tovalieri, a Guerrero, al Bari. Che ne sai che il Milan e il Genoa, appresa la notizia che Vincenzo “Claudio” Spagnolo è morto, si rifiutano di scendere in campo? E che a quel punto parte la caccia al tifoso. “Non li facciamo andare via finchè non ne ammazziamo uno di loro“. Sangue chiama Sangue. Che ne sai? Attenzione interrompo dall’Olimpico: ancora Tovalieri, raddoppio del Bari. Questa volta è un tocco deciso, di destro, su un altro suggerimento ben dosato del suo capitano che lo pesca solo nell’area di rigore avversaria. Il tono del radiocronista è sommesso, qualcosa comincia a non convincerti. Il Bari sta vincendo ma non c’è nessuna voglia di festeggiare. Mi sa che è morto, afferma laconico tuo padre. Una frase lapidaria che ti fa passare la voglia di ascoltare la radio. Perchè può succedere una cosa del genere? Non servono a nulla le parate di Fontana, la bella prestazione del tuo idolo Annoni, il gol di Signori che al 90′ accorcia le distanze. Spagna non c’è più. Non sai chi sia, ma quel nome ti è già familiare e l’innocenza del tuo calcio è già un ricordo andato.

Quella domenica di fine gennaio, il 29 gennaio del 1995, il calcio dell’infanzia diventa un altro calcio. Più cattivo, più cinico, più stronzo. Un calcio che se ne frega della vita di un ragazzo. Un calcio che va avanti lo stesso, nonostante una tragedia. Un sport per il quale qualcuno è capace di uccidere. Fatto di pugnali, catene e borchie che spuntano da sotto i loden e le giacche eleganti. No, non ti va di vedere i gol in telvisione. Basta così. La domenica dopo non si gioca, neanche al Di Cagno Abbrescia. Ci si ferma tutti, dalla serie A ai dilettanti. Per provare a rifelttere. I tifosi di tutta Italia si ritrovano a Genova. Ogni gruppo porta uno striscione “Basta lame, basta infami“. Che verrà esposto qualche domenica dopo in tutte le curve. Non ti è mai piaciuto troppo quello striscione. Non è una condanna assoluta della violenza. Come se sottointeso ci fosse scritto “Lasciamo perdere i coltelli. Se siete veri uomini dovete usare solo le mani per menare“. L’hai sempre visto così, ma nessuno ha più fatto caso a questo finto tentativo di riappacificazione tra ultras. Magari sbagli, eri solo troppo piccolo per capire. Ma qulla sosta, come tutte le soste, non servirà a nulla. Dopo qualche mese ci si dimenticherà di quel sacrificio, ma per sempre resterà indelebile il dolore di Cosimo, Calogera e Simona Spagnolo. “Hasta Siempre Spagna“.

Tratto da Repubblica del 2 febbraio 1995 – Una carezza interminabile sulla fronte del figlio, come si fa con un bambino nella culla. La giornata di Cosimo Spagnolo, il papà di “Spagna”, ieri è passata così, tra le lacrime, nella piccola camera ardente allestita nell’ obitorio dell’ ospedale “San Martino”. Senza una parola, con lo sguardo ora sul volto gelido di Claudio, ora sulla gente che continuava ad arrivare, composta, con gli occhi lucidi, portando fiori. Uno sguardo che parlava: “E’ qui, morto. Vi sembra possibile?” Il dolore di questa famiglia è stato, nei giorni scorsi, impenetrabile. Cosimo Spagnolo l’ha rotto una sola volta, ieri, davanti alle telecamere di una televisione spagnola. Ha preferito quella strada, spiega un parente, per evitare strumentalizzazioni, e perché la preoccupazione di tutti è di non inasprire gli animi. Dice Cosimo Spagnolo: “Abbiamo scelto il silenzio, perché non c’ è nulla da dire su una tragedia così grande. Posso fare solo una domanda: si deve morire a vent’ anni per una partita? Io credo di no, è una fine inaccettabile”. Una giornata di lutto dello sport, domenica prossima. E’ d’accordo? “Non io sono d’accordo, sono d’accordo cinquanta milioni di italiani. Un solo italiano non lo è“. Chi non è d’accordo, signor Spagnolo? “Lo sanno tutti: è Matarrese“. E lei cosa pensa? “Dio mio, non ho parole”. L’ altra notte, mentre i compagni del Centro sociale ‘ Zapata’ si riunivano nella loro sede nei vicoli, la sorella minore di Vincenzo Claudio Spagnolo ha portato alle agenzie di stampa un comunicato: “La famiglia e gli amici ringraziano sentitamente per la solidarietà dimostrata da tutta Italia, ma, al fine di evitare inutili tensioni, chiedono che ai funerali partecipino solo le squadre genovesi. Ringraziano tutte le autorità, ma chiedono anche a loro di astenersi dal presenziare'”. Ieri, i toni sembravano essersi ammorbiditi. Monsignor Bruno Venturelli, che per anni è stato il parroco dell’ abbazia di San Teodoro, dove oggi si svolgono le esequie, è venuto a portare al padre il messaggio del sindaco di Genova, Adriano Sansa, e del vicesindaco di Milano, Malagoli: “Mi hanno detto che vorrebbero partecipare come semplici cittadini”, riferisce il prelato. Cosimo Spagnolo ha allargato le braccia: “Dica che possono venire tutti”. Per l’ intera giornata, accanto alla salma, hanno vegliato i familiari: con il padre Cosimo, la madre Calogera e la figlia Simona. C’ erano anche la nonna materna, Maria, e i nonni paterni, Vincenzo e Maria Grazia. Centinaia e centinaia di persone: San Teodoro, che è un quartiere popolare e molto solidale, si è mobilitato in massa. Tutte le strade erano tappezzate di manifesti con una grande foto di Claudio e una lettera aperta, scritta dai suoi amici: ‘ Hasta siempre, Spagna!’ . Nessuna autorità. E del mondo sportivo, a parte i genoani e i sampdoriani delle gradinate, solo il segretario del Genoa, Benti, e il segretario generale, Scapini. Hanno portato undici maglie genoane, che sono state stese sulla bara, come una grande, calda, coperta rossoblù. 

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Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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