Oggi a Bari hanno arrestato 3 “Ultras” per motivi noti a tutti. Calcioscommesse è un eufemismo. Infamia è la parola giusta. Tre anni fa a quest’ora, il 9 maggio 2009, festeggiavamo la serie A, allo stadio Garilli di Piacenza. Per raccontarvi quella giornata scelgo uno stralcio del mio romanzo Ci sono notti che non accadono mai. I personaggi e i fatti sono frutto dell’invenzione dell’autore. La serie A e le emozioni sono vere. Autentiche. Oggi insomma il format di U Bàr iè fort è un po’ diverso dal solito. So che mi perdonerete.

Buona lettura!

Tratto da Ci sono notti che non accadono mai, di Cristiano Carriero – Gei edizioni, collana manolibera

Non prendere impegni per sabato, la sottoscritta ha in serbo una sorpresa per te. Devo sdebitarmi per la tesi, per la cena, per la disponibilità. G.

All’inizio sorrisi, leggendo quel messaggio nella mia casella di posta personale. Poi iniziai a farmi prendere dal panico. Porca puttana, la serie A.

Non avevo ancora trovato i biglietti per la partita, è vero, ma sabato era il gran giorno. Volevo stare vicino ai ragazzi, anche a costo di andare lì per rimanere fuori dello stadio. Anche perché l’alternativa di tornare nella mia città per festeggiare in piazza non era praticabile, dal momento che mi ero già giocato il mio bel bonus qualche giorno prima per altre ragioni, ben meno nobili della fede calcistica.

Avevo timore di risponderle. Non riuscivo a capire dove eravamo arrivati. Attrazione ce n’era, complicità anche, ma di fatto non ci eravamo dati neanche un bacio. Di quelli veri, dico. Eppure lei continuava a cercarmi, nonostante la tesi fosse stata ormai ultimata. Iniziavamo anche a saperne abbastanza l’uno dell’altro, e adesso che ci pensavo, dopo  Valeria, Ennio e Luis, Gaia era la persona che conoscevo meglio a Milano. Tutto era successo nel breve volgere di qualche mese, con trasporto, intensità e un pizzico d’incoscienza.

Presi il mio tempo, ma non perché non avessi voglia di passare un sabato con lei. La possibilità di vederla in un giorno non lavorativo, con tutta la tranquillità del caso e magari lontano da Milano, almeno dalla Milano caotica e grigia della settimana, mi allettava. Anzi, a dire il vero, non desideravo molto altro. Anche la mia squadra passava in secondo piano davanti a lei e questo avrebbe già dovuto preoccuparmi. Ero grave.

Mi ero innamorato, a modo mio, senza troppe certezze, in una maniera o nell’altra, mi ero innamorato. E poco importa se non avevamo fatto l’amore e se l’ultima volta, a casa mia, mi aveva allontanato mentre cercavo di baciarla. Avevo deciso di andarmela a prendere, senza più indugi.

Nessun impegno, sono felice di passare un sabato con te. Non vedo l’ora di rivederti.

Passò qualche minuto, il tempo di andare a vedere quali nuove foto proponeva Lenka, e qualche cambiamento di status.

Sai, anch’io non vedo l’ora, volevo dirtelo. Vestiti sportivo mi raccomando, ti passo a prendere verso le dieci.

Mi dimenticai del Bari, di richiamare Sam per dirgli che non avevo buone notizie da dargli. Pensai a quel nuovo incontro, a pochi giorni dalla laurea e capii che per me Gaia stava diventando importante. Restava da capire se e quanto lo fossi io per lei.

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Da piccolo amavo le sorprese.

Non chiedevo mai a mio padre cosa mi aveva preparato per pranzo. Mi sedevo e aspettavo di scoprirlo. Allo stesso modo non sono mai stato uno di quei bambini che a due giorni dal Natale vanno a curiosare tra i regali. Quando mia madre mi chiedeva cosa volevo, non esprimevo nessun desiderio in particolare. Al massimo dicevo che mi sarebbe piaciuto ricevere qualcosa che avesse avuto a che fare con i giochi di magia, o con lo sport, se proprio volevo dare qualche indizio. I miei genitori hanno sempre alimentato questa mia attitudine, cercando di sorprendermi giorno dopo giorno, abituandomi a sognare e immaginare il più a lungo possibile. Se avessi saputo due settimane prima di Natale che avrei ricevuto un ma­glioncino non avrei passato tutti quei giorni a immaginarmi al parco con un paio di pattini a rotelle nuovi. Credo che fosse sempre quello il motivo per il quale mio padre, tutti i pomeriggi, mi portava in stazione e mi faceva salire sui treni fermi, immaginando con me quello che avremmo potuto vedere durante il viaggio, le persone che avremmo potuto conoscere, i posti in cui saremmo potuti arrivare. Non li dimenticherò mai quei pomeriggi. Se oggi so cogliere la bellezza delle cose, se so sorprendermi ogni anno quando mi rendo conto che le giornate si allungano, lo devo a lui. Tutto ciò che sono stato da piccolo, tutte le sorprese che ho vissuto e delle quali ho goduto fanno parte del mio modo di essere adulto. Mi sdraiai sul divano a pensare a quella giornata da passare con Gaia. Lo facevo con immagini sfocate, esercitandomi a tornare indietro nei momenti più arditi, a prolungare le attese, a sfumare i contorni per regalare un primo piano e dei colori brillanti ai due protagonisti della storia. Mi addormentai, e fu un sonno dolce, a suo modo ristoratore. Mi sentivo sereno, non vedevo l’ora che arrivasse il giorno dopo, ma non ero teso, né preoccupato. E nella mia testa non c’era nient’altro che lei. Dopo qualche ora mi svegliò un messaggio. Mi allungai verso il comodino per prendere il telefono e lessi.

La Triestina ha vinto a Livorno. È fattA!!! Ci vediamo domani, Gaia 

Fu lei a darmi la notizia che aspettavo da quasi dieci anni, lei a prendersi la briga di mandarmi un messaggio mentre nella mia città, i miei amici, erano già in strada a festeggiare. Mi venne voglia di vestirmi e scendere in strada, prendere la sciarpa e andare a gridare la mia gioia a tutta Milano. E lo feci, non prima di chiamare Gaia però. Le chiesi se voleva accompagnarmi e ne fu felice. Gi­rammo per tutta Milano e mi assecondò, mentre strombazzavo con il clacson della macchina come un bambino di dieci anni. Presto scoprimmo che non eravamo gli unici, che a un certo punto piazza Duomo sembrava il centro di Bari, il giorno di San Nicola. Pensandoci bene, era proprio San Nicola quella notte. E io ero felice, non posso negarlo.

Alla fine avevo dormito poche ore. Ancora con la sciarpa del Bari al collo. Ma non mi svegliai controvoglia. Mi succede sempre, quando devo fare qualcosa che mi va. A volte dormo per dieci ore di fila prima di andare a lavorare, ma mi sveglio ugualmente stanco e spossato, come se non avessi riposato affatto. Luis, che segue i principi Zen, dice che è colpa delle troppe seghe che mi faccio. Avevo riaccompagnato Gaia a casa alle tre, tra schiamazzi e chiacchiere sotto il portone. Avevamo tante cose da dirci e lei mi aveva confessato di essere un po’ in ansia per la seduta di laurea. Aveva paura di non riuscire a dire, in soli venti minuti, tutto ciò che avrebbe voluto. La tranquillizzai, non era un gran problema in fondo. O comunque era sempre meglio di non avere nulla da dire.

Mi squillò il telefono e diedi per scontato, in un primo momento che si trattasse dello squillo di Gaia. Non era così.

«Edo! Allora con chi te la vedi la partita?»

«Samu, ho festeggiato ieri notte, ormai è fatta, oggi vado a fare una gita con Gaia.»

«Cazzo, allora è grave.» Si fece serio il suo tono.

«Cosa?»

«Sei innamorato. Dovresti riflettere molto profondamente. Non era mai successa prima una cosa del genere.»

«Ci rifletterò, promesso. Adesso devo scendere.»

«Ci sentiamo dopo. O non vuoi essere disturbato?»

«Diciamo che ti chiamo io.»

«Forza Bari.»

«Sempre.»

Alle dieci era sotto casa mia, lo capii dallo squillo. Scesi celermente, per non farla aspettare troppo e per scoprire velocemente quale sorpresa mi aveva organizzato. La vidi per la prima volta con la macchina, una vecchia Ford Escort che non le toglieva femminilità seppure avesse l’aria di essere un’auto appartenuta al padre, un tempo. L’abbracciai e lei si fece cingere il collo mettendomi una mano sul fianco sinistro per farmi capire che il contatto era tutt’altro che sgradito.

«Riposato bene?» mi disse.

«Sì, poco ma bene, sono in forma comunque.»

«Bene, allora sali in macchina.»

«Ma adesso si può sapere dove mi porti?»

«Ancora no, lo scoprirai strada facendo.»

«Va bene capo!» la assecondai usando uno dei suoi tormentoni di quei mesi.

La strada correva diritta, senza alcun tipo di complicazioni, a quell’ora della mattina. Finalmente potevo vedere il volto di Gaia con la luce del primo sole, in un giorno festivo. Era ancora più interessante e bella ora che potevo guardarla meglio, dal momento che era lei a guidare, diversamente dal solito. Mi soffermai sulle sue mani, non erano meno belle di quelle di Dalila, come pensavo, adesso che le guardavo bene. Una teneva il volante, l’altra era appoggiata sul cambio, si era dipinta le unghie di rosso per l’occasione. Con il tempo ho imparato ad apprezzarlo, lo smalto sulle unghie. Una volta imboccata l’Autostrada, direzione Bologna, iniziai a pensare che Gaia fosse davvero la mia donna ideale. Non avevo più molti dubbi sulla destinazione, rimanevo scaramanticamente in silenzio. Quando, un’ora e mezza dopo, arrivammo a Piacenza, non potei fare a meno di guardarla, a metà fra il sorpreso e l’estasiato.

«Cosa c’è, un convegno sul web 2.0 a Piacenza?» le domandai.

«Non proprio, c’è un raduno di terroni, se non ho capito male, dovrebbe essere da queste parti, controlla un po’ sulla mappa che ho stampato.» Mi indicò il vano del sedile anteriore. Non potevo crederci, si era presa la briga di scaricare da Viamichelin l’itinerario per arrivare allo stadio Garilli. Lo consultai, ero più abituato ai navigatori, ma evitai di fare lo sbruffone connettendomi a internet con il mio meraviglioso cellulare di ultima generazione. Presi la mappa e la girai ripetutamente finché non trovai la direzione. «Ec­co, guarda, qui siamo sulla parallela, dovresti prendere la prima a sinistra. Brava.» L’accompagnai con lo sguardo mentre sterzava.

«Che dici, parcheggio qui? Lo stadio dovrebbe essere quello.» Mai uno stadio di provincia mi sembrò così bello. Per quanto mi riguardava era più bello del Maracanà. Ci misi un po’ a risponderle, ancora non avevo realizzato dove fossi. «Sì, qui va benissimo.» Avrei fatto anche dieci chilometri a piedi pur di stare in mezzo a quella folla di conterranei festanti.

Gaia chiuse la macchina e si assicurò una seconda volta di averlo fatto provando a tirare la maniglia. L’avevo sempre considerato un gesto da sfigati ma mi sembrò meraviglioso, fatto da lei. Ci incamminammo, con largo anticipo, verso la biglietteria. La ringraziai, mi sembrò il minimo per quello che aveva fatto.

«Gaia, lo so che adesso ogni parola potrebbe sembrarti banale, però grazie. Davvero. È la più bella sorpresa che mi abbiano mai fatto. Aspettami qui, vado a vedere se ci sono ancora biglietti di tribuna.»

Feci qualche passo verso la biglietteria e Gaia mi lasciò andare. Dopo un po’ mi fece un fischio, costringendomi a guardarla.

«Va bene curva sud ospiti fila O posto 4623 e 4624?» mi mostrò i biglietti freschi di stampa, con tanto di codice a barre. Rimasi in silenzio. Mi avvicinai a lei, incredulo. Li avevo cercati per una settimana.

«E tu come hai fatto? Era impossibile» le dissi.

«Il padre della mia coinquilina lavora per la Caripiacenza. Hai visto che anche Sara sa rendersi utile?»

Mi venne voglia di mandare un messaggio, o una foto, a Samuele. Lui che mi aveva preso per il culo perché avevo deciso di fare una gita con Gaia anziché guardare la partita in tv.

Non so se fu per la felicità della serie A o per la sorpresa che mi aveva fatto. Forse fu semplicemente per amore, o qualcosa di simile. Le diedi un bacio sulle labbra bloccandole le spalle con le mani. Un bacio forte. Lei serrò la bocca ma sentii comunque la pressione delle sue labbra sulle mie, come una risposta. «E questo è per Sara ovviamente.» Gliene diedi un secondo, ancora più forte, e stavolta sentii il rumore delle sue labbra, lo schiocco di chi se l’aspettava.

«Ehi, ma tutta questa confidenza chi te la dà?» mi disse.

«Scusa, non volevo. Mi sono fatto prendere.»

«No, per il bacio a Sara dico. Sono gelosa.»

Fu lì che ci scambiammo il primo vero bacio, un bacio tutto nostro. Appassionato, intenso. La cornice non era quella che avevamo sognato. Non erano gli Champs Elysées e nemmeno Ponte Milvio. Era lo stadio Garilli di Piacenza. A un certo punto un gruppo di tifosi baresi si fece fotografare con noi alle loro spalle, mentre ci baciavamo. Questa è la fotografia del nostro primo bacio. Magari saremo finiti su Facebook, presi in giro e taggati da una moltitudine di gente. Fu il primo di una lunga serie di baci che ci demmo quel giorno. E poi lo stadio, le sciarpe, la festa, le fotografie, quello striscione dedicato a Omar, il coro Serie A lalalalala, e ce ne andiamo in A. E poi ancora baci. Mi tolsi anche la soddisfazione di mandare un messaggio a Samu.

Forse hai ragione, mi sono innamorato. Mi ha portato a Piacenza, a vedere il Bari alla faccia tua. Non ti saresti innamorato anche tu di una così?

Non ho mai capito che sintomi abbia la felicità, ma quel giorno credo di aver provato una gran bella sensazione. Una volta tornato a Milano avrei voluto invitarla a casa, stare ancora con lei, continuare a scoprire il sapore delle sue labbra.

«Ti va di venire da me a bere qualcosa? Posso sdebitarmi per la splendida giornata che mi hai regalato?» le chiesi.

«Mi piacerebbe Edo, ma tra due giorni mi laureo. È meglio rimandare ulteriori distrazioni, per ora.»

Quel per ora mi emozionò più di tutti i baci che mi aveva dato. Ma per essere sicuro, gliene diedi un altro prima di salutarla.

«Ciao Edo.»

«Ciao Gaia.»

Con le donne non si sa mai.

Prossima puntata: Rimini – Bari, 12 maggio 2007

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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