È un periodo, questo, in cui rifletto molto sulla mia carriera. Si tratta di capire il focus delle proprie ambizioni: da un lato quello che sappiamo fare, dall’altro quello che le persone mi riconoscono. In ultima analisi quello che mi piace fare, che mi fa stare bene. Per lavorare e vivere meglio, come dice il mio amico Luca Conti. Si tratta di una riflessione importante, perché mai come in questo momento storico è fondamentale fare qualcosa che ci faccia stare bene, che ci appaghi. Se non altro per un mero motivo di interesse personale: se devo lavorare 15 ore al giorno, tanto vale fare qualcosa che mi appassioni. Recentemente ho letto un libro di grande ispirazione, che vi consiglio vivamente. Si chiama L’Alleanza – Gestire il talento nell’era del networking, edito in Italia da Egea e tradotto da Francesca Parviero. Una delle parti più accattivanti del libro è quella che invita a stilare una lista che ci aiuti a conoscere le aspirazioni chiave e i valori individuali dei collaboratori.

Ho fatto quest’esercizio su di me, ed è molto semplice da eseguire: bisogna scrivere i nomi di 3 persone che ammiriamo. Dopo accanto ad ogni nome, dovremo elencare le tre qualità che ammiriamo di più in ciascuna persona (nove qualità in totale). Infine classificare quelle qualità in ordine di importanza, dalla 1, la più importante, alla 9, la meno importante. Alla fine dell’esercizio avremo una lista di valori personali da poter confrontare con quelli dell’azienda o con il proprio piano di crescita. È un esercizio utilissimo sia per i neolaureati, che devono iniziare un percorso professionale, sia per i manager già affermati. È importante che si tratti di persone non strettamente legate al proprio business: si può spaziare dai grandi condottieri agli scrittori.

Ecco le mie scelte:

1. Federico Buffa

  • Capacità di parlare in pubblico: Buffa è, a mio parere, un punto di riferimento per il modo di parlare e intrattenere. Sa usare il linguaggio come pochi, guarda in camera quando è necessario, distoglie lo sguardo quando sceglie un tono da sognatore. Usa aggettivi che sono andati perditi nel lessico comune (mercuriale), metafore come “L’uomo vitruviano al centro del progetto”. Oltre al lessico, sempre ricco e curato, Buffa sa come muoversi sulla scena. Ascoltarlo è un’esperienza catartica.
  • Forza narrativa: se penso ad uno Storyteller, di qualunque settore, il punto di riferimento è lui. Federico Buffa conosce i tempi, le pause, il lessico. Sa quando le parole non bastano e serve la musica. Il suo Storytelling è visivo, sensoriale, narrativo. Si aiuta con delle frasi scritte da sceneggiatore consumato, frasi che poi vengono condivise, come immagini, sui social. Buffa è uno stroyteller straordinariamente moderno, con una cultura classica.
  • La cultura: appunto. Chi è appassionato di sport e di calcio sa che ascoltare le storie di Federico Buffa significa interessarsi di politica, di storia, di geografia, di linguistica e di sociologia. Tutte cose che Buffa conosce a menadito e di cui parla con piena consapevolezza. Almeno questo è quello che trasmette, e che interessa a noi. Si guarda un suo spettacolo perché si è coscienti che “Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio“. Applicare a tutti i campi della vita.

 

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2. José Mourinho

  • Gestione del gruppo: non conosco un calciatore che abbia giocato per Mourinho che parli male dell’allenatore di Setubal. Eto’o, per lui, ha fatto persino il terzino. Il rude Drogba ha pianto quando ha saputo che Mou andava via. Il merito è di Mourinho che fa sentire sempre i suoi giocatori i migliori. Un episodio che vale la pena raccontare è quello che vede coinvolti lui e Marco Materazzi, ormai a fine carriera. Nella finale di Champions del 2010 Mourinho fa entrare Materazzi a 2 minuti dal termine per dargli la gioia di essere in campo quando l’arbitro fischia la fine. Particolari che fanno la differenza.
  • Leadership: Mourinho viene riconosciuto da tutti come un leader. In primis dai suoi giocatori che mai e poi mai metterebbero in discussione questa leadership. Mai autoimposta, sempre guadagnata sul campo. Al ritorno da una partita a Lisbona, Mou doveva andare a casa sua a Setubal. Prese l’aereo per Milano insieme alla squadra e poi volò da Milano a Setubal senza battere ciglio. E questo solo per dare l’esempio.
  • Gestione dei media: Mourinho non gestisce i media, li domina. È se stesso, ma sa quando indossare una maschera e attirare su di sé tutte le attenzioni per lasciare tranquilli i giocatori. Il suo rapporto con la stampa è bidirezionale. Lui fa finta di non sopportare i giornalisti, ma in realtà non potrebbe vivere senza. La stampa fa finta di non sopportarlo, ma senza di lui non vende i giornali.

 

Bayern Muenchen v Inter Milan - UEFA Champions League Final

 

 

3. Jovanotti

  • Semplicità: ammiro Jovanotti perché parla e scrive in maniera semplice. Al contrario di Buffa (sì, si possono adorare entrambi) ha un linguaggio diretto e le sue metafore sono immediate. “Bella, come una finestra che mi illumina il cuscino“. Parlare con un linguaggio semplice è estremamente difficile e non è una caratteristica alla portata di tutti. Scendendo nel personale, una caratteristica fondamentale, ad esempio, per chi si occupa di Social Network.
  • Empatia comunicativa: Jovanotti è un modello di comunicazione. Vuoi per il sorriso, vuoi perché piace a generazioni diverse, oppure perché da sempre sperimenta i nuovi media per primo. I concerti di Jovanotti sono (in Italia) anni luce avanti rispetto a quelli degli altri. Nel 1996, nel tour L’Albero, propose una selezione multi-sensoriale di suoni e odori da diffondere. Oggi ha una sua JovaTV, utilizza Twitter e Facebook, sperimenta video assieme ai fan, ma soprattutto è empatico dal vivo. L’ingrediente principale.
  • Eclettismo: da Jovanotti for President all’ultimo album Lorenzo ha cambiato musica, stile, abiti, consuetudini. In una parola: non si è mai accontentato (avrebbe potuto, ad un certo punto). Jovanotti cerca la sfida, perché vuole divertirsi e vuole sempre stupire. Chi avrebbe fatto un album con 30 tracce dopo 25 anni di carriera?

 

Jovanotti

 

 

A questo punto dell’esercizio, non resta che elencare le 9 qualità in ordine di importanza, per me. Ed ecco la mia classifica finale:

  1. Gestione del gruppo – tirar fuori il meglio da tutti i collaboratori
  2. Forza narrativa – saper raccontare, saperlo fare bene
  3. Empatia comunicativa – partire in vantaggio rispetto agli altri quando c’è da relazionarsi con le persone
  4. Eclettismo – saper cambiare prima che siano gli altri a chiederti di farlo
  5. Leadership – autorevolezza non imposta ma riconosciuta
  6. Capacità di parlare in pubblico – utilissimo per la formazione e per l’esposizione delle idee
  7. Cultura – si può fare meglio il proprio lavoro se si conosce l’antropologia, la sociologia, la storia, l’attualità e persino il gossip
  8. Semplicità – rendere semplice concetti complessi, renderli fruibili
  9. Gestione dei media – tradizionali o 2.0, i media non vanno manipolati ma vanno gestiti

A questo punto abbiamo un elenco di punti di forza o di possibili obiettivi chiari e concreti per la propria carriera. Delle linee guida utilissime per posizionarsi sul mercato e per poter continuare il proprio percorso di miglioramento. Non è meglio di curriculum? Non è più chiaro di uno SWOT? Vi invito a fare una prova e condividerla con me e Francesca Parviero sotto questo post o tramite i social. Non vediamo l’ora di confrontarci con voi.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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