Vuoi iniziare direttamente dall’ultima puntata? No? Allora ecco, per te, la 1, la 2, la 3 e la 4. Buon ripasso!
Alice (pronunciate il suo nome come volete) si rialzò e mi diede un bacio sulle labbra. Intenso. Poi mi disse grazie, come se l’avessi liberata di un peso. Ci addormentammo per qualche ora, abbracciati, finchè le luci del mattino mi ricordarono che dovevo accompagnarla a prendere un aereo che l’avrebbe portata per sempre lontana da me. Mi sembrava impossibile dover rinunciare ad un sorriso che non avevo mai visto fino alla sera prima. Ma non avrebbe avuto senso dirle che saremmo rimasti in contatto.
«Ti aspetto a San Francisco» mi disse prima di scendere dalla macchina.
«Sì, ma come ti trovo?»
«All’incrocio tra Mission Street e Lowell c’è la lavanderia di mia madre. Chiedi di Elis».
«Verrò»
«L’hanno detto in molti, nessuno l’ha fatto».
Feci a meno di farmi delle domande. Lei mi diede un altro bacio e andò via.
«Elis» tirai il freno a mano. Forse si spaventò.
«Sì…»
«La borsa» aprii lo sportello della macchina ma con un gesto della mano mi frenò.
«Sai tenere un segreto?»
«Certo»
«Mi prometti che non penserai male di me?»
«Te lo prometto.»
«E che verrai davvero a trovarmi?»
«Ho paura dell’aereo ma…»
«Allora tienila tu la borsa. Arrivato a casa sbarazzatene, fanne ciò che vuoi.»
Mi diede un altro bacio e andò via. Rimasi inebetito. Timoroso e incosciente. Guidai dritto fino a casa. Senza soste, ripensando a quella notte, al sesso magnifico che mi aveva concesso. Ai suoi vent’anni o poco più. Arrivato a Fabriano mi fermai in un bar a fare colazione. Nel solito bar del centro. Come se quella notte fosse stata un sogno. Ordinai il mio solito cappuccino e presi tra le mani il giornale locale.
Quarantasettenne ucciso nella notte da tre colpi di pistola
Nessun indizio sull’omicidio di Fabrizio Stroppa, imprenditore fabrianese originario di Sassoferrato, ucciso ieri notte, nel suo appartamento di via La Spina 11 per mano di uno sconosciuto. Probabile si trattasse di un rapinatore ma non sono da escludere altre ipotesi, al momento. A un primo esame non sono stati riscontrati segni di violenza sul corpo, eccezion fatta per i tre colpi di pistola al cuore. Purtroppo non sembrano esserci testimoni oculari dell’accaduto. L’uomo non è sposato e non ha figli. I vicini dicono di aver udito alcuni colpi di pistola, ma pensavano si trattasse di rumori provenienti dalla TV. La polizia sta indagando sul movente che al momento appare misterioso. “Era una brava persona – ha dichiarato la signora Chiara, vicina di casa – conosco Fabrizio da 10 anni. Gran lavoratore, persona per bene, andava a messa tutte le domeniche. Non mi capacito per quello che è successo.” Nessuno riesce a darsi una spiegazione, non ci resta che aspettare il corso delle indagini. A quanto pare neanche la nostra tranquilla cittadina è più al sicuro.
La pistola. L’uomo di quarantesette anni. Senza figli. La pistola (ancora, quel tatuaggio). A Fabriano. No, non può essere lei. Pagai in fretta e furia senza neanche finire il cappuccino. Mi avviai verso la macchina, e misi in moto cercando di reprimere il senso di colpa e la paura. I brutti pensieri. Soprattutto i brutti pensieri. Arrivai a casa, andai dritto in camera mia, chiusi a chiave e misi le mani nella borsa. Questa volta non era un tatuaggio. La pistola era vera. Mi sentivo morire. Avevo fatto l’amore con un’assassina ed ero stato suo complice nella fuga. Mi sedetti a terra con la pistola in mano, poi cercai altro. C’era una foto. Un uomo di vent’anni sorrideva. Sembrava il padrone del mondo. Dietro di lui il Golden Bridge. Sul retro una dedica: A Marlene, with love. Chiusi tutto nell’armadio, pensando che avrei dovuto nascondere al più presto quelle prove. Chissà come, poi. Mi buttai sul letto. E ripensai agli occhi azzurri di quella ragazza. E alla promessa che le avevo fatto. Cercai invano di dormire mentre lei era già in volo verso la California priva, ormai per sempre, della foto dell’uomo della sua vita. Suo padre. L’uomo che aveva ucciso. Andai a cercarla qualche anno dopo a Mission, incrocio con Lowell. Ma non per sapere cosa fosse successo quella sera. Solo per rivederla e dirle che i suoi occhi non li avevo mai dimenticati. Mi chiese scusa e mi disse che il suo non era stato un gesto senza senso. Aveva passato una vita a cercare la verità su quell’uomo, ad amare quel padre che non l’aveva mai riconosciuta e in una sera di agosto quella stessa persona l’aveva portata a casa e messo ripetutamente le mani addosso fino a che non era successo qualcosa di molto spiacevole. Scoppiò a piangere e io gli dissi che per me non era importante conoscere il resto di quella storia. Mi fidavo e basta, e non l’avrei mai giudicata male, come le avevo promesso quella notte. E ancora oggi, quando passo davanti alla stazione di Fabriano spero di vederla ancora lì, ad aspettare un treno che non arriverà mai. Ma tutto questo Alice non lo sa.
ps: forse non lo sai, ma ho scritto anche un romanzo. Se vuoi puoi iniziare a leggere Domani no. Le prime 30 pagine te le regalo.
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