Ti sei perso le prime due puntate? Non c’è problema. La prima e la seconda non scappano:)
Non avrei avuto grossi problemi ad accompagnarla a Los Angeles, San Franciscoo San Diego. Iniziai ad incuriosirmi davvero. Cosa ci faceva una ragazza americana a Fabriano? E perché aspettava un treno di notte? Si slegò i capelli e si alzò le maniche del maglioncino di cotone. Anche lei aveva caldo quella notte. Una notte piena di grilli, stelle e zanzare. Alice mi chiese dove fosse la macchina. La invitai a seguirmi lungo il viale e mi offrii di portarle la borsa. Si limitò a ringraziarmi dicendo che poteva continuare a tenerla lei visto che non era poi così pesante e non aveva valige. Arrivammo sotto casa mia e le indicai la Golf grigia. Prima di partire mi chiese di aprirle la macchina. Non dissi nulla, premetti solo il tasto del telecomando per consentirle di entrare. Mi invitò a mettere in moto. Lo feci. Fu allora che azionò l’accendisigari e uscì dall’abitacolo, qualche secondo dopo, con la sigaretta accesa.
«Mind you… ti dispiace se fumo prima di partire?»
«Non c’è fretta» risposi. Mi domandai, tra lo stupore e l’eccitazione di un bambino che di notte si affaccia alla finestra e vede la neve, cosa diavolo stesse succedendo. Strana la piega che può prendere certe volte la notte. Strana in un paese come il mio, dove la cosa più esaltante che ti può capitare è scavalcare i cancelli della villa comunale per andare a guardare le stelle cadenti la notte di San Lorenzo. Era quella notte, adesso che ci penso. E io, per la prima volta dopo molti anni non avrei scavalcato quel cancello. Provai a spiegare quella tradizione ad Alice.
«Sei grande per scavalcare cancelli, non trovi?»
Aveva ragione, ed era soave. Il maglioncino impediva al suo seno prorompente di esplodere. Avrei voluto chiamare tutti i miei amici. Avrei voluto che chiunque passasse di lì per osservare quella meravigliosa creatura. Alice guardò l’orologio e senza aggiungere nulla mi comunicò con fermezza da ufficiale giudiziario che potevamo andare.
«Che strada faccio per arrivare… dove precisamente in California?»
«San Francisco, Mission Street. Incrocio con Lowell. Ma va bene anche se mi accompagni all’aeroporto di Roma. Ho un aereo domattina alle 11.»
La guardai ancora trenta secondi prima di inserire la prima. Non mi sfiorò nemmeno per un secondo l’idea di essere stato impulsivo a proporle di accompagnarla. Anzi, se non ci fosse stato l’Atlantico di mezzo, avrei guidato per 10 settimane di fila pur di portarla fino a Mission Street, angolo con Lowell. Immaginai la sua città come un posto multietnico, colorato, pieno di autobus caratteristici di ogni parte del mondo come avevo sentito, distrattamente, in uno di quei documentari che danno di notte quando ti accontenti di chiudere gli occhi e sentire le voci dei conduttori prima di cadere in un sonno cosciente e consapevole. Misi in moto. Questa volta fui io a non dire nulla. Mi accertai soltanto di avere con me qualche banconota.
«Ci fermiamo a prendere qualche birra?» Chiese con il solito sorriso al quale non avrei mai più saputo dire di no.
«A Fabriano è tutto chiuso adesso, ma fra qualche chilometro dovremmo trovare qualcosa aperto. Io però devo guidare.»
«Mi fai compagnia, che sarà una birra?»
«Posso chiederti come mai parli così bene l’italiano?»
«Mia madre è di Berkley, California. Nel 1982 conobbe un italiano, a San Francisco, ed ebbe una bambina. Eccomi qua.»
«Quindi tuo padre è italiano?»
«Io non l’ho mai conosciuto – si fece seria – ma sono cresciuta sentendomi raccontare questa storia. Fin da piccola ho studiato la vostra lingua per essere pronta, un giorno, ad incontrare quell’uomo. Mia madre mi regalò una foto e io la conservai per tanti anni. Ci parlavo con quella foto, da piccola. La amavo. Era un uomo bello, alto, importante. Aveva poco più di 25 anni. Ha sempre avuto poco più di venticinque anni, per me.»
Mi chiese il permesso di accendersi un’altra sigaretta. Poi continuò.
«Fu lui a darmi questo nome. Sua madre si chiamava così. Poi sparì. Questo è quello che mi ha raccontato mia madre.»
«Sei venuta a trovare lui?»
«Ho voglia di una birra.»
Capii che non voleva approfondire l’argomento. Nel buio dell’abitacolo brillava la fiamma della sua sigaretta ogni volta che la appoggiava alle labbra e aspirava il fumo. Poi soffiava e lasciava che volasse fuori dal finestrino insieme alle nostre parole. Presto saremmo arrivati a Roma e lei sarebbe partita verso casa sua. E io non l’avrei più rivista. Non mi sarei consolato con l’idea di andarla a trovare, un giorno, a San Francisco. Troppe ore di volo per un vigliacco come me. E poi chi ero per pensare di poterla andare a trovare? Alice si girò un attimo per dare un’occhiata alla borsa. Si assicurò ancora una volta che la cerniera fosse chiusa. Si aggiustò la gonna poi poggiò la mano sinistra sul pomello del cambio. Proprio lì dove, per abitudine, era appoggiata la mia. Mi disse grazie, ancora una volta, e riprese a guardare fuori. Gli alberi, le vallate, i paesi che sembravano appartenere ad un’altra epoca. Piccole fortezze medioevali, bellezze senza tempo che io trascuravo tutte le volte che passavo di lì.Fossato di Vico, Gubbio, Spoleto, i loro castelli e le luci della luna. Pensai alle gite che da piccolo avevo fatto con i miei in quei posti. L’emozione della novità. Loro che da Taranto si erano trasferiti a Fabriano per ricominciare. Perché mio padre era un operaio dell’Italsider, quella che oggi chiamano ILVA, e mia madre nutriva un profondo sospetto verso quella tosse catarrosa in un momento in cui si diceva che quella sarebbe stata la grande fortuna della città. Lo slancio verso un domani da protagonisti nell’economia italiana. (…continua)
Ps: ti va di leggere il mio romanzo? Lo sai che su Amazon trovi Domani No?
3 Comments —