Il 5 giugno del 1994, a Bari, fa caldo da morire. Ma non si muore. Piuttosto si festeggia. Si gioca di domenica, anche se disputiamo un campionato di serie B, perché il calcio è ancora (per poco) una festa e non un intrattenimento di massa. I Mondiali stanno per iniziare e noi sappiamo già a quale campionato parteciperemo l’anno successivo: la serie A. Ma la gente ha deciso di riempire lo stadio, venire a festeggiare, tributare il giusto applauso ad un gruppo di ragazzi che non partiva con i favori del pronostico. La stagione 1993/1994 è infatti, almeno apparentemente, l’anno dell’austerity. Il Bari viene da due campionati di follie. Il primo in serie A. Una campagna acquisti dissennata porta in Puglia gente come Farina, Rizzardi, Boban, Jarni e soprattutto David Platt, pagato 18 miliardi, un investimento faraonico, per il calcio dell’epoca.

Nonostante le buone prestazioni dell’inglese (che però gioca letteralmente da solo) il Bari retrocede. Ma Matarrese, all’epoca più ambizioso e spendaccione che taccagno, ci riprova. Manda via Boniek (in B in B ma con Zibì, anche gli ultras ci misero del loro) e affida al brasiliano Lazaroni, ex ct della Selecao e allenatore della Fiorentina, una corazzata che avrebbe dovuto ammazzare il campionato. Come non riuscirci se puoi contare su Angelo Alessio (attuale secondo di Conte alla Juventus), Nuccio Barone, Domenico Progna, Berardino Capocchiano e il bomber del Messina Igor Protti? A loro si aggiungeranno gli svincolati Sandro Tovalieri e Pino Taglialatela che avevano iniziato il campionato a Terni salvo poi scappare a causa di un mezzo crack finanziario che costrinse la Ternana ad un torneo da comprimaria. Ultima dall’inzio alla fine. Ma c’è un però.

Quel Bari, nonostante molte difficoltà, dopo aver sostituito Lazaroni con Materazzi, riesce a recuperare terreno e insidiare le prime quattro. Proprio a Terni succede un fattaccio che forse Michele Salomone ricorderà meglio di me. In vantaggio per 1 a 0 e in pieno controllo della partita, il Bari rinuncia praticamente a giocare il secondo tempo. Perde 3 a 1 e da quel momento sparisce dal campionato. Materazzi chiede a Regalia di rifare la squadra. Punta sui giovani salvando solo qualche senatore. Protti, Barone (fischiatissimo nell’ultima in casa contro il Cosenza) e Tovalieri su tutti. Ma nessuno può pensare di andare in A con Tangorra, Bigica, Amoruso, Ricci, Gautieri e Pedone. Sono loro, invece, a dare una nuova impronta alla squadra. Tanta corsa dall’inizio alla fine, grinta, cuore e, perché no, qualità. Il Bari mette in chiaro dopo una decina di partite che si giocherà la serie A con la Fiorentina, il Cesena, il Padova e il Brescia. Ma una di queste rimarrà fuori.

Non noi, anche se a seguito di una partita epica, da far west, in casa contro il Cesena, rischiamo seriamente di buttare tutto per aria. Nella partita degli ex con il dente avvelenato è Calcaterra, al 29′, a decidere la sfida del San Nicola. Ma al fischio finale altri ex, tra i quali Piraccini e Biato, scatenano una bagarre nella quale Tovalieri e Protti cascano con entrambi i piedi. Spintoni, cazzotti e inseguimenti. Il giudice sportivo li squalifica per quattro turni e il Bari si ritrova ad amministrare un vantaggio neanche troppo largo pareggiando 4 partite su 5. Dopo il pareggio noiosissimo contro il Venezia, in casa, scatta anche una delle contestazioni più famose della storia recente: Se restiamo in B, se restiamo in B vi facciamo un culo così. Ma non è mancanza di amore, è solo paura.

Paura che si dissolve in un altro rovente pomeriggio di Giugno, ad Acireale, per demerito del Cesena che perde in casa la sua partita contro il Cosenza di Gigi Marulla. Il Bari apprende la notizia via radio e si distrae (usiamo un eufemismo) lasciando passare l’Acireale che festeggia la salvezza così, riversando l’intera città in campo. Una settimana dopo arriva il Padova al San Nicola, e si respira un aria di festa. Lungi da idee di calcio scommesse e trucchetti vari, gran parte del pubblico sarebbe disposto a veder vincere la squadra ospite pur di non permettere al Cesena di approdare in A. Nessuno ha dimenticato quel far west. Si giocano due partite molto particolari e se il Bari è già promosso, lo è anche la Fiorentina che ospita i romagnoli. I miei ricordi sono pieni di sole. Indosso un cappellino e mi levo la maglietta. Sembra di stare a al mare el’intero stadio si colora di sciarpe e bandiere biancorosse. Quanto è bello festeggiare l’ultima giornata in casa.

Provo simpatia per il Padova. Stacchini (quello che non si vede mai) e Sandreani (quello che parla) mi piacciono e suonano come un nome unico, una persona sola, Bonaiuti ha la faccia di un portiere affidabile, Montrone è barese, Pippo Maniero un piccolo idolo. Sono biancorossi anche loro e da tanto tempo non vanno in serie A. Questo, all’epoca, mi basta per preferirli al Cesena di Hubner, un attaccante burbero e poco aggraziato, che però fa gol come pochi. Allo stadio si fa la ola. Si canta, si salta, si prepara la festa. Il Bari non concede nulla, anzi gioca a pallone serenamente, con la tranquillità di chi ha già raggiunto l’obiettivo e vuole divertire. Il Padova deve provare a vincere, se vuole andare in serie A. Ma nessuno vuole regalare nulla, anzi. Joao Paulo, che ha giocato poche partite (e non si è mai ripreso da quel maledetto infortunio) sembra in giornata di grazia. Finalmente. Semina più volte la difesa veneta e si scontra con un Bonaiuti maestoso. Ma a dieci minuti dalla fine, proprio su una corta respinta del portierone del Padova su un tiro di Joao, Pedone è lesto a ribadire in rete segnando un altro gol pesantissimo contro il Padova, dopo quello dell’andata. Lo stadio esulta, perché in un giorno di festa un gol ci sta sempre bene, provando però un pizzico di dispiacere per quei ragazzi in maglia blu.

Che fa il Cesena? Mi chiede il vicino. Pareggia a Firenze – rispondoMo iè peccat che chiss ann e r’manè in serie B! Già. Forse lo pensano tutti. Fatto sta che cinque minuti dopo Amoruso frana su Franceschetti. Calcio di rigore per il Padova. Galderisi spiazza Fontana e corre a prendere il pallone dalla porta. Lo stadio applaude ma il Bari non concede più nulla. Finisce 1 a 1 e la nostra festa può cominciare. Ci riversiamo in strada, come per antica abitudine. Stavolta abbiamo aspettato solo un anno, ma è sempre bello far festa e così diamo il via a quel carrozzone di finestrini aperti, sciarpe fottute, clacson indiavolati, traffico impazzito, facce dipinte e motorini che sfrecciano sul lungomare. Senza cercare una scusa per andare in due senza casco. I giocatori del Bari si prendono per mano e volano verso al curva, quelli del Padova si chiedono cosa succede a Firenze. Succede che hanno pareggiato e che andranno allo spareggio. Io tiferò per loro. Un giorno sarò fan di Alexi Lalas, Michel Kreek e Goran Vlaovic. Un adolescente ribelle con il pizzetto dell’americano. Ma prima c’è un Mondiale da guardare. E un carosello da godere. Il dramma sportivo dello spareggio per andare in A se lo beccano loro. Io oggi non ne voglio sapere niente. 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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