Nella notte delle creste tornano di moda i capelli lunghi. Quelli di Ezequiel Schelotto, italoargentino che merita l’Oscar per il miglior esordio. Quello nel derby di Milano. Il suo è il gol che non ti aspetti, quello che fa impazzire di gioia la curva nerazzurra: pareggiare con un gol del carneade è sempre una gran soddisfazione in tempi di magra come questi. Questo la dice lunga sulla partita dell’Inter. Nel primo tempo il Milan avrebbe meritato di andare avanti di tre gol. Solo uno strepitoso Handanovic (miglior protagonista) e un po’ di fortuna hanno tenuto a galla Stramaccioni. Poi è scesa la nebbia (strnao copione a Milano) e la partita è cambiata. L’Inter è venuta fuori pian piano, ha preso coraggio, ha sfiorato il gol con Guarin e alla fine l’ha trovato. Un punto che conta poco per la classifica, molto per l’orgoglio. L’Inter chiuderà un’altra stagione senza perdere il derby, acciuffandolo con una rete di un giocatore che a San Siro avevano già etichettato come brocco, a pochi giorni dall’impresa dei rossoneri contro il Barcellona.
Un’impresa che in pochi si aspettavano e che è arrivata senza Balotelli, giocatore che, restando in tema Oscar (visto che è periodo), nel derby vince il premio come miglior comparsa. Forse distratto dalla tensione o dalla voglia di strafare, fatto sta che Mario ha finito per innervosire anche la squadra e nel secondo tempo è stato più dannoso che utile. Niente di grave, solo un piccolissimo incidente di percorso. Darei poco peso ai fischi: un ex come lui, dopo le dichiarazioni d’amore sul Milan, non poteva certo essere accolto con i fiori. Questo non giustifica insulti e cori di nessun tipo, ma a volte si tende a mischiare il razzismo con l’antipatia generata da atteggiamenti da prima donna. E anche questa mi sembra demagogia. Giusto tornare sulla grande impresa di mercoledì: il Milan ha saputo aspettatare, non si è fatto irretire da quella fittissima (e onanistica) serie di passaggi chiamata Tiqui Taca ed ha colpito due volte con la concretezza delle squadre italiane di un tempo. I novanta minuti del Camp Nou, come dicono i catalani, saranno muy largos, ma in fondo un gol del Milan ci può scappare e allora si che il miracolo diventerebbe possibile.
Ammetto di non amare il Tiqui Taca. Nell’educazione sentimentale e calcistica della mia generazione, qualche palla lunga e pedalare in più di certi ricami sono un dna calcistico. Soprattutto per chi ha conosciuto Trapattoni, Mourinho e anche tanto calcio di provincia. E a volte duemila passaggi da due metri non ne valgono uno riuscito da trenta. E poi il calcio è bello anche per l’improvvisazione, l’errore, il caso, il colpo di testa di uno come Schelotto. Nel Barcellona tutto questo non accade. Tutto è perfetto, calcolato, non ci si affida mai al caso, all’improvvisazione. Un esempio clamoroso: siamo al 90′ di Milan – Barcellona e i catalani avrebbero bisogno di un gol per riaprire la doppia sifda. Calcio d’angolo. La metterà in mezzo, penso io. Giocano contro la squadra che ha preso più gol da fermo ed hanno Puyol, Pique, Mascherano. Un golletto di testa ci puà scappare. Invece no. Passaggino all’uomo a due metri, che la ripassa a chi ha battuto il calcio d’angolo. Altra rete di passaggi finche l’arbitro, anche lui in preda ad una crisi nervosa, fischia la fine. Va bene ho esagerato, ma se anche voi non provate simpatia per questo gioco date un’occhiata alla tesi di Michele Dalai e del suo Contro il Tiqui Taca.
Tra Milan e Inter, e la Lazio che giocherà stasera, spunta prepotentemente il Catania. Ne avevamo già parlato. Un lavoro cominciato qualche anno fa con Zenga, proseguito da Mihailovic e Montella e adesso da un magistrale Rolando Maran. Senza dubbi l’allenatore dell’anno. Uno che ci ha messo del tempo ad affermarsi. Ha dovuto subire un esonero ingiusto a Brescia (al suo posto fu chiamato Zeman), parecchie disavventure a Bari e che per rilanciarsi ha scelto la tranquilla Varese dove l’anno scorso stava per sfiorare l’impresa. Con grande professionalità e altrettanta tenacia ha attraversato l’Italia per trasferirsi dalla Lombardia alla Sicilia e abbracciare il progetto più europeo del calcio nostrano: quello di Pulvirenti e del suo laboratorio argentino. Segnatevi questo apputamento: domenica c’è Catania – Inter. Se gli etnei dovessero vincere non potrebbero più nascondere le proprie ambizioni, anche perchè supererebbero i nerazzurri. Peccato che mancherà Legrottaglie che, evidentemente scosso per le dimissioni del Papa, mette le mani adosso all’arbitro e compromette il suo campionato con almeno 4 giornate di squalifica. Conoscendolo si avvederà presto dell’errore e chiederà scusa. Per una Sicilia che ride c’è una Sicilia che piange: ho finito le parole per il Palermo. Terzo esonero e dentro di nuovo Gasperini. Sannino e Malesani hanno collezionato tre partite in due. Se questa è serietà, ditemelo voi.
Al tavolo dello scudetto è il momento di giocarsi tutto. La pressione per il Napoli è enorme. La Juventus fa il suo dovere e anche qualcosa di più. Vincendo una partita non facile e superando un ostacolo scomodissimo: il Siena di Iachini. In più ritrovando Chiellini, fondamentale per la difesa. Conte se la prende con il pubblico, reo di non aiutare la squadra, ma conoscendolo è solo un modo per compattare ancora di più l’ambiente. Il Napoli, prima dello scontro diretto, dovrà battere l’Udinese a domicilio. Non sarà impresa semplice, anzi. In sei giorni ci si gioca tutto, senza appello. Bene la Roma che vince la seconda partita consecutiva. Non era facile e adesso Andreazzoli può lavorare più tranquillo. Il pubblico ha già dimenticato Zeman e i suoi estremismi. Adesso la Roma è una squadra fatta di ottimi giocatori, responsabili delle proprie prestazioni nel bene e nel male. Giocatori di classe che hanno bisogno di un allenatore e di un motivatore, non di un Guru. Nella corsa Champions li terrei in considerazione. Due parole sul Cagliari che vince una partita epica, al 95′, contro il Torino (quando vedremo Cerci in nazionale?) in uno stadio vuoto e senza presidente. I sardi stanno facendo un altro ottimo campionato nonostante le mille difficoltà logistiche. Stadio inagibile, trasferte complesse, Società allo sbando. Sarà l’aria della Sardegna che fa bene ma vi prego ridate il Cagliari alla sua gente. Se la merita.