La classifica dice che non è impossibile, la salvezza. Il Verona è lì a 2 punti, il Foggia di Zeman, partito alla grande, è distante solo 4 punti. Così come la Fiorentina mentre, due punti più su, c’è la Roma di Ottavio Bianchi. Il problema è che il Bari degli investimenti faraonici non è partito per salvarsi. In estate Matarrese non ha badato a spese. Ha costruito una squadra senza capo nè coda, preoccupandosi di farcire una torta insipida con gustose ciliegine. Tra queste il bomber (o presunto tale) australiano Frank Farina e, soprattutto, il talentuoso inglese David Platt. Il pubblico barese ha conosciuto il baronetto di Sua Maestà in occasione di Italia – Inghilterra, finale per il terzo posto dei Mondiali. Ma la love story tra il giocatore e la società di di Vincenzino Matarrese, raccontano gli storici, è iniziata molto tempo dopo. Pare che nel febbraio dell’anno seguente il tecnico Gaetano Salvemini, osservando una partita con il suo presidente, si lasciò sfuggire questa affermazione: “A Bari ci vorrebbe uno come Platt“. Matarrese prende nota e un paio di mesi più tardi si reca a vedere Aston Villa – Manchester United. Ecco, giusto per dare un’idea dei tempi, magari ai più giovani. I primi ’90 sono anni in cui un giocatore pur di venire in Italia lascia una squadra da quarto posto in Premier League (allora semplicemente Big League) per giocare nel Bari. Un Bari ambizioso, in ogni caso. La finalina mondiale e la finalissima di Coppa dei Campioni dell’anno seguente hanno fatto conoscere il San Nicola a livello internazionale. Adesso manca una squadra che “entri in Europa dalla porta principale“.
Eccolo il ritornello preferito della famiglia Matarrese. “Questo è il nostro nuovo capitano“. Il Presidente sorride davanti alle tv nazionali, Salvemini (col senno di poi) non sembra troppo convinto. Dovrà assemblare una squadra che molti critici giudicano fortissima. In realtà si parla poco di due cessioni importantissime, quella di Carrera alla Juventus e quella di Maiellaro, alla Fiorentina. A turbare il tecnico di Molfetta c’è un’aspettativa molto alta nei confronti della squadra, il fatto che i giocatori inglesi hanno puntualmente fallito nel calcio italiano e il problema della coesistenza tra Farina, Platt e Joao Paulo da molti indicati come il trio delle meraviglie. In realtà di meraviglie se ne vedranno poche e il trio giocherà meno di un mese assieme. Joao si romperà tibia, perone e carriera in uno sciagurato scontro con Lanna durante una partita contro la Sampdoria di Boskov. Farina verrà ceduto due settimane dopo e sulle spalle di Platt graverà tutto il peso di una stagione sciagurata. Talmente sciagurata che dopo la sconfitta di Torino contro la Juventus (quinta giornata) Salvemini rassegnerà le dimissioni.
La Società sceglie inspiegabilmente Boniek, un allenatore già retrocesso l’anno prima con il Lecce, corteggiato dal Pisa (serie B) e più bravo con la dialettica che con gli schemi. Lo dimostrerà negli anni successivi trovando una collocazione più consona negli studi della DS come opinionista. Ai tifosi Zibì piace. Tanto che la curva nord si schiera con lui dinnanzi ad un possibile ritorno di Salvemini. In B ma con Zibì. E così sarà. Il 23 febbraio del 1992 Si gioca la quinta giornata di ritorno. Il Bari ospita la Juventus e stavolta Platt non c’è. Il capitano è squalificato e il peso dell’attacco grava sulle spalle dello “Skhuravy dei senza tetto” Antonio Soda. Lui che l’anno prima ha punito due volte la Juventus. Lui che, insieme a Brogi, rappresenta l’alternativa pane e salame al sogno estivo dei tifosi. Fortuna che nel mercato di Gennaio sono arrivati due giovani croati (all’epoca slavi) di grande prospettiva. Il terzino Robert Jarni e il fantasista Zvonimir Boban. Quest’ultimo arriva in prestito dal Milan, ha talento e già esperienza europea. Fa fatica ad ambientarsi e soffre probabimente la coesistenza con Platt.
Forse per questo quella contro la Juventus sarà la sua migliore partita. Non dimentichiamo che Boban è uno dei primi slavi ad arrivare in Italia a 20 anni. Fino all’anno primo vigeva infatti la regola che i talenti jugoslavi non potessero lasciare il proprio paese prima dei 25 anni. L’atmosfera dello stadio è elettrizzante. 55.000 spettatori (di cui ben 22.000 abbonati) e una curva gremita. Tanto che mio padre, per l’occasione, mi porta in tribuna Ovest dove ci sono Loseto, Joao Paulo e Gerson con figlioletto al seguito. Quest’ultimo è un ex, ma qualche anno più tardi tornerà a Bari dove suo figlio imparerà il dialetto. La Juve è seconda dietro al Milan ma esprime un trapattonismo esasperato. Schillaci è la copia sbiadita e impalpabile del Totò Mundial. Baggio non incide e Casiraghi non riceve neanche un pallone giocabile. Marocchi e Conte si preoccupano di difendere e il Bari ha buon gioco nonostante le assenze. Boban mette due volte Soda in condizioni di sbloccare il risultato ma Tacconi è prodigioso in entrambe le occasioni. Al 30′ ci prova Cucchi con un tiro da fuori che finisce alto.
La Juve si affaccia solo al 10′ della ripresa con Reuter che lascia sul posto Calcaterra e mette al centro. Terracenere (migliore in campo) anticipa Baggio e gli sradica dai piedi un pallone che finisce però sul sinistro di Galia. Tiro centrale e Alberga para con sicurezza. Sarà l’occasione più importante della Juve. Poco per una squadra che vuole impensierire il Milan nella lotta al titolo. Il Bari inizia a crederci. Siamo al minuto 27 della ripresa quando Jarni impressiona per la prima volta i miei ricordi di giovane tifoso. La sua accelerazione è bruciante e Corini non può fare altro che sgambettarlo per evitare che entri in area centralmente. Punizione dal limite. L’altro giovane croato accarezza il pallone. La barriera si sistema. Zvone si ricorda di quando nella Dinamo Zagabria ogni punizione era un pericolo. Come quella volta in coppa Uefa contro l’Atalanta quando segnò e si fece conoscere in tutta Europa. Lo stadio trattiene il fiato. La curva grida “ooooo….” in attesa del fischio dell’arbitro. Che arriva. Boban parte. Il pallone aggira la barriera, Tacconi si tuffa, ma è tardi. Il pubblico si alza in piedi. Un moto spontaneo, quasi a voler accompagnare quella parabola perfetta, vincente. Una frazione di secondo e l’urlo potrà uscire dalla gola. Invece resta strozzato, impotente, e si scontra contro un palo ingiusto che ricaccia il cuoio verso l’area di rigore dove Julio Cesar (un libero assai avventuroso) arriva prima di Soda e può spazzare. Boban si mette le mani su capelli da spot televisivo, qualcuno impreca, io do un calcetto leggero al sediolino avanti a me. Se giochiamo così ci salviamo, dice quel filosofo di mio padre. Il problema è che giocheremo così fino ad uno sciagurato derby contro il Foggia. La grande occasione. Ma questa è un’altra storia. Che vi racconterò.
Prossima puntata: Bari – Cesena, 23 novembre 1980
Loseto, Gerson (con il figlio) e Joao Paulo assistono al match contro la Juventus.
Il giovane Boban appena arrivato a Milano, prima di essere girato in prestito al Bari. La copertina del Guerino è dedicata ad un altro grande crack del calcio jugoslavo: Dragan Stojkovic che però a Verona non riuscirà a dimostrare tutto il suo valore.
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