L’ho fatto. Quella volta l’ho fatto davvero. Sono tornato a casa, distrutto, e ho messo la sciarpa biancorossa in un cassetto. Non volevo più vederla. Ricordo ancora le parole di mia madre, mentre con accuratezza e rispetto, toglievo la sciarpa dal muro: “Che fai, la togli? E dove la metti?” Non le risposi. La piegai e basta, poi mi misi a fare altro. Quando qualche mese fa ho visto retrocedere la Sampdoria ho capito il vero motivo della mia amarezza. Si può perdere, si può andare in B, si può andare anche in C, ma noi tifosi vorremmo vedere sempre i giocatori lottare, sudare e perchè no, anche piangere, per la maglia. Come Palombo l’anno scorso. Quella notte a Venezia, i giocatori scapparono. Nessuno si degnò di chiedere scusa e di molti di loro, per nostra fortuna, non avemmo più notizie. Anche il presidente scappò. Anzi, non si presentò neanche allo stadio Penzo, a differenza di noi tifosi. Aveva altro da fare. E io ricordo perfettamente cosa. Noi invece andammo in 700, a subire l’ennesima umiliazione. E sì, perchè il 19 giugno del 2004 siamo retrocessi in serie C.
E anche se dopo qualche mese siamo stati ripescati, io non voglio dimenticare quella partita. Non voglio neanche dimenticare quel campionato, nato male e finito peggio. Mi è doverosa una premessa: quella retrocessione fu meritata e figlia di una serie incredibili di errori della società e dell’allora mister Tardelli, poi sostituito da Pillon. Primo fra i tanti quello di mandare via Gillet e affidare la porta a Battistini, autore di una serie incredibile di errori, soprattutto nel finale di stagione. Nel calcio si sa le controprove non esistono. Ma il biondo portiere belga, futuro capitano del Bari disputò a Treviso una stagione strepitosa. A nulla serve la rimonta finale: il Bari gioca una partita di cuore e grinta contro un Atalanta lanciata verso la serie A, la batte 2 a 1 ma non basta. Viene sepolta di gol a Palermo e va a giocarsi lo spareggio, andata e ritorno, contro un Venezia forte di un piazzamento migliore in classifica. Il 16 giugno, per la gara di andata, la città risponde alla grande e il San Nicola si riempie di gente, fumogeni e coraggio. Quarantamila persone, forse qualcuno in più, a spingere i ragazzi di Pillon.
Non sembra vero che in uno stadio del genere si possa disputare una partita valida per permanenza in serie B, ma ormai siamo lì, e ce la giochiamo. “Molti da quando sei in B non ci vengono più” cantano gli ultras. Verissimo, ma quella sera molti ritornano, anche soltanto per godersi una serata mite allo stadio. Ma il clima non è quello della festa, c’è una serie B da difendere e la squadra arriva piuttosto stanca a quell’appuntamento, sebbene in pochi si rendano conto della piccola tragedia sportiva che Bari sta per vivere. Ci appostiamo in curva a torso nudo, tra birre ghiacciate e gavettoni d’acqua. Fa caldissimo quella sera. Jaime Valdes imperversa su tutto il fronte d’attacco e in più di un’occasione fa ballare la difesa veneziana. Il Bari è poco lucido sotto porta e altrettanto sfortunato, crea molto ma porta a casa solo l’uno a zero. La rete decisiva la segna Sasà Bruno e fa esplodere una curva che in quel momento sembra aver allontanato i fantasmi della retrocessione.
No, non possiamo retrocedere, siamo il Bari. Anche il neo sindaco Michele Emiliano, che a fine primo tempo lascia la tribuna d’onore per venire in curva, si lascia sommergere dagli abbracci della gente. L’arbitro fischia la fine e la curva ringrazia tutti, anche chi non lo meriterebbe. Si va a Venezia a difendere la categoria. Si gioca in un sabato sera d’estate, quale migliore occasione per andare in trasferta in una delle città più belle del mondo? Treno, traghetto, macchina, praticamente i mezzi li prendiamo tutti. Arriviamo allo stadio Penzo e sembriamo fiduciosi. Siamo in tanti, “almeno noi non retrocediamo”, il pensiero più diffuso. E sì, perchè da quella curva si canta dal primo all’ultimo minuto, retrocessione compresa. Ed è incredibile pensare come una delle pagine più brutte della storia biancorossa rappresenti per me (e non solo) una delle trasferte più belle, almeno a livello di ricordi. Nessuno vuole retrocedere, ma in molti in quella curva sono già rassegnati al peggio. Bari è strana, noi tifosi siamo strani. Ci capita spesso di innamorarci di giocatori e allenatori che, magari per mancanza di fortuna, poco hanno dato alla causa. Inutile tergiversare, Pillon è uno di questi.
La piazza si innamora di lui, gli si stringe interno, lo appoggia dall’inizio alla fine. E la fine è lo spareggio di Venezia. Il mister se lo gioca come può, con una squadra francamente imbarazzante. Molti di quei giocatori si ricicleranno in categorie inferiori o lasceranno il calcio. Alcuni onesti mestieranti del pallone quali Pizzinat, Markic, Lipatin e Von Schwedler, il cileno dal nome improbunciabile, torneranno in patria e di loro si perderanno le tracce. Memorabile la frase con la quale Salomone chiuderà la radiocronaca di Venezia: “Pizzinat ti auguro una lunga carriera, ma lontano da Bari“. Uno dei momenti più alti del radiocronismo sportivo locale. Educazione, sconforto e dileggio. Il Bari affonda, a Venezia, giocando male e affidandosi, come al solito, alle intuizioni dei suoi due cileni, unici a salvarsi. Valdes sembra voler riprendere il discorso interrotto all’andata, Cordova prova a tirare da tutte le posizioni e colpisce due pali clamorosi, uno a fine primo tempo. La curva barese si dispera, si poteva chiudere il conto e invece c’è ancora tanto da soffrire. Ma il Bari commette l’errore di accontentarsi e al 5′ del secondo tempo un certo Breillet porta in vantaggio il Venezia. A questo punto il risultato premia i veneti, piazzatisi meglio in classifica. Ma 3 minuti dopo il Venezia resta in dieci e a questo punto c’è tutto il secondo tempo per rimontare.
Ci sarebbe, perche l’ingenuo Markic (uno a metà tra Almeyda e Maradona, così diceva lui) al 20′ si fa espellere e ristabilisce la parità numerica. A nulla serve il finto assedio finale. Cordova colpisce un palo da calcio d’angolo, Battistini va all’attacco ma sono attacchi sterili e isterici i nostri. L’ultimo isterismo è quello di Bruno che si fa espellere e lascia il Bari il nove. Il tempo di prendere il gol del due a zero di Biancolino. Il Venezia si salva, il Bari retrocede. La pagina più nera della storia recente del Bari viene scritta in una calda notte di giugno in una delle città più belle del mondo. Non esattamente il giorno e il luogo ideale per una piccola tragedia sportiva. Ma tant’è. Torno a Bari e ripongo la sciarpa nel cassetto. Mi riprometto che la terrò lì per un bel po’. Vi lascio indovinare quanto sono stato di parola.
ndr: le solite leggende metropolitane dicono che il Bari avesse in mano tre giovani talenti dell’under 21 argentina. Uno era Markic, il capitano. Gli altri due Saviola e Riquelme. Inutile dire che abbiamo preso il primo. In quel Bari 2003-2004 vi erano anche due giocatori che oggi militano in eccellenza e nei quali la dirigenza barese aveva intravisto due campioni: Ingrosso e lo sfortunato La Fortezza, sul quale anche l’Inter aveva messo gli occhi.
Prossima puntata: Bari – Cremonese 2 a 1, 15 aprile 1996
anche se è triste è emozionante.. o forse emoziona appunto per l’amarezza e la rassegnazione!
Ho pianto come un bambino…..
Ebbene sì, seguii la partita alla radio, ero nervoso sin dal primo minuto, sapevo che non potevamo sbagliare approccio e purtroppo quello che non volevamo che succedesse, successe! Quella sera piansi anche io, sono un ’77 e avevo assistito ad una sola retrocessione del nostro Bari ma ero troppo piccolo per capire che tragedia sportiva si fosse consumata…quella del 2004 invece fu la più cocente!