Conoscete bene ormai il mio rapporto con la scrittura e con i libri.

Negli ultimi anni ho pubblicato più di dieci manuali per Hoepli, ma la domanda che ancora continuo a ricevere oggi è: «Ne vale la pena?».

Sì, perché ho iniziato a scrivere libri per una pura questione di posizionamento e soddisfazione personale. Con il mio nome su un libro, infatti, molte aziende mi avrebbero chiamato a lavorare o collaborare con loro. Fosse rimasto questo il mio unico obiettivo, però, di libri me ne sarebbero bastati due, o forse tre. Ma ho continuato a scriverli (e a dedicare tempo e spazio alla scrittura) anche perché li ho venduti (qualcuno più, qualcuno meno), altrimenti avrei smesso dopo il primo, no?

Il content marketing e la gerarchia dei contenuti

Non tutti i contenuti né i contenitori sono uguali.

A spiegarci meglio – e più da vicino questa affermazione – è proprio il content marketing.

Ogni contenuto a cui diamo vita è unico, così come lo è ogni canale (o contenitore) attraverso il quale scegliamo di pubblicarlo. Ognuno di essi, infatti, consente di instaurare con il pubblico una relazione di fiducia, più o meno profonda.

Per essere vincente, una strategia di contenuti, non può, ovviamente, includere al suo interno tutti i formati e tipologie di contenuto o canale esistenti, ma è necessario che essi vengano scelti in base a quelli che sono gli obiettivi di marketing e comunicazione, sia al target di riferimento.

In base allo specifico obiettivo che dovrò raggiungere, dunque, mi servirò di un contenuto e di un canale piuttosto che di un altro. Fondamentale è che tra i diversi formati e tipologie di contenuto ci sia sempre coerenza e sinergia.

Subito dopo aver consegnato Post Social Media Era – il libro che ho scritto insieme a Sebastiano Zanolli – ho sentito il bisogno di dover cambiare linguaggio e sperimentare nuove forme di contenuto, sia di rivedere quella che fino ad allora era, appunto, la mia personale gerarchia dei contenuti.

E l’ho fatto ritrovando, tra le pagine di un libro, un caro amico.

Dal libro “Content Inc.” di Joe Pulizzi

In Content Inc., Joe Pulizzi – una delle primissime persone che ho letto e studiato quando ho iniziato a interessarmi di content marketing – parla proprio della gerarchia dei contenuti. Tra le pagine del suo best seller (che è stato poi tradotto anche in italiano con il titolo Content Business) anche Joe sottolinea quanto siano importanti per il business forme di contenuto più personali come i libri e le stesse newsletter.

Come dicevo all’inizio, ogni tipologia di contenuto e/o di contenitore permette di instaurare con il pubblico un certo tipo di relazione e fiducia, più o meno profonda, a seconda di quelli che sono gli obbiettivi da raggiungere. Il punto è che così come non tutti i contenuti e contenitori sono uguali, neppure i membri delle community lo sono. O almeno, non hanno tutti lo stesso valore.

Come spiega Joe, costruire community “di valore” per il proprio business implica la creazione di asset di contenuti su cui è possibile esercitare un certo grado di controllo. E come sappiamo, non tutti i canali e gli strumenti attraverso i quali veicoliamo e diffondiamo i nostri contenuti sono uguali o ammettono lo stesso tipo di controllo.

L’algoritmo di Facebook, ad esempio – e questo rappresenta uno dei motivi per cui Joe colloca Facebook alla base della sua gerarchia, al livello più generale -, ha il potere di mostrare o meno (e quindi nascondere) determinati tipi di contenuti alle audience dal momento che il suo unico obiettivo, specie negli ultimi anni, è improntato esclusivamente al coinvolgimento.

Ciò che ne deriva, dunque, è il bisogno di incentrare la comunicazione su tutte quelle forme di contenuto più personali e in grado di generare il più possibile community di valore, ossia, formate da persone realmente interessate che percepiscano tali contenuti come utili, autorevoli e pertinenti.

E non è un caso che tra le forme di contenuto poste in capo alla gerarchia, troviamo proprio le newsletter. A differenza di qualsiasi altro strumento, infatti, l’e-mail rappresenta quello più privilegiato e intimo perché riservato ad un gruppo più o meno ristretto di persone e, dunque, non aperto a chiunque.

Gli iscritti e le newsletter – così come sostiene lo stesso Joe – sono dunque forme di contenuto estremamente personali, capaci di generare una community di pochi “eletti” disposta a lasciare il proprio indirizzo e-mail in cambio di contenuti di valore.

Rispetto ai social network, infatti, l’e-mail marketing rappresenta uno strumento potentissimo che permette di ottenere non solo contatti di qualità estendendo, nel tempo, la propria lista di iscritti, ma anche di instaurare e coltivare con loro una relazione di fiducia e, per questo, di valore.

Come? Emozionando.

Il potere dello storytelling per dare valore alle tue newsletter

Abbiamo visto fin qui che, grazie a forme di contenuto più personali come iscrizioni e newsletter, è possibile dar vita a relazioni solide e durature con i propri lettori. Le newsletter hanno, infatti, il potere di creare rapporti esclusivi e strettamente personali.

Non si tratta semplicemente di un brand o professionista che comunica alla propria platea di clienti e consumatori, ma bensì di una persona che comunica a un’altra persona, ascoltandone idee e bisogni. Ecco perché chi utilizza male uno strumento potente come le newsletter non fa altro che finire nello spam dei suoi contatti e perdere di credibilità agli occhi della propria audience.

Di solito, quando un utente si iscrive ad una newsletter non lo fa soltanto perché trova piacevoli o interessanti dei contenuti, ma lo fa quasi sempre perché quei contenuti, quelle informazioni possono, in qualche modo, essergli utili. 

Ed è qui che entra a gamba tesa lo storytelling come l’arte non solo di raccontare storie, ma di sapersi raccontare in maniera inedita e insolita rispetto a come avviene solitamente attraverso gli altri canali.

Comunicare tramite newsletter permette dunque di empatizzare, di entrare in connessione profonda, con il lettore e di creare con lui un legame di esclusività capace per questo di protrarsi e durare nel tempo.

Sebbene, ad oggi, il corporate storytelling sia ampiamente utilizzato da imprese e professionisti, raccontare storie e raccontarsi (e farlo bene) è un’arte non da poco, che non può mancare in alcun modo di autenticità. Contrariamente a quanto si pensa, coinvolgere il pubblico nel profondo, suscitando in lui un’emozione, non sempre riesce.

Per questo, forse, più che continuare a definire lo storytelling come “l’arte di raccontare storie”, sarebbe più opportuno imparassimo a definirlo come “l’arte di emozionare raccontando storie”.

Rivedi la tua scala di priorità

Arriva, prima o poi, il momento di rivedere la propria gerarchia dei contenuti e stabilire delle nuove priorità. Anche solo per il bisogno di sperimentare nuovi linguaggi o aprirsi a nuove forme di contenuto o canali.

Analizzare e rivalutare periodicamente i contenuti della tua strategia, in base ai tuoi obiettivi e al tuo target, ti darà modo di comprendere meglio su quali contenuti incentrare la tua comunicazione.

Se necessario, rivedi l’intera content strategy e ricostruisci la tua gerarchia attribuendo a ciascun contenuto un grado di priorità a seconda della sua importanza.

Mettere in cima alla tua scala di priorità i contenuti più importanti, ma soprattutto più personali come le newsletter, ti aiuterà ad instaurare e coltivare, con i tuoi lettori, relazioni esclusive e a rendere più mirata ed efficace la tua comunicazione.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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