L’anniversario dei dieci anni di Facebook è già alle nostre spalle.
Chi diceva che quella dei social network sarebbe stata una storia destinata a consumarsi in un tempo brevissimo, è rimasto deluso.
“Vedrai, è una moda passeggera”, diceva qualcuno.
“Ma davvero pensi che le aziende possano usarlo come strumento di marketing?” ripetevano alcuni presunti guru che ora si ritrovano a rincorrere le esigenze di imprese che fortunatamente non li hanno ascoltati.
Facebook è cresciuto, è cambiato, si è evoluto, è diventato un media a tutti gli effetti. Non c’è gara con giornali e carta stampata, semmai c’è un tema legato alla “verità”, all’autorevolezza del contenuto su cui i vertici di Menlo Park stanno lavorando. Facebook è sempre più TV: lo streaming sempre più veloce ha trasformato i palinsesti. Oggi è possibile assistere a una partita di Champions League su Facebook e commentarla con i propri amici, e presto sarà possibile con altri eventi. Dai concerti di cantanti famosi al Super Bowl, passando per i Mondiali di calcio. In questo modo Facebook diventa il nostro first screen, che se ne fruisca da desktop o (soprattutto) da mobile. Il primo schermo, quello costantemente sotto i nostri occhi, quello che cattura costantemente la nostra attenzione.
Lo scenario – per i brand, per i professionisti, ma anche per gli utenti comuni – è cambiato. Ciò che valeva cinque anni fa, oggi non vale più. E non solo perché nel frattempo lo spazio per i brand è sempre meno, e quindi davanti a un sovraffollamento del palinsesto è ovvio abbia vita più facile chi investe di più, ma anche perché le nostre stesse abitudini sono cambiate. Grazie allo smartphone siamo sempre connessi, spesso Facebook è la nostra prima fonte di informazione (su questo andrebbe aperto un tema), il concetto stesso di “amicizia” è cambiato, e non è più legato a una vicinanza fisica. Le stories hanno restituito al social quel carattere di spontaneità che si stava perdendo.
Va da sé che il libro che ho scritto assieme a Luca Conti, circa cinque anni fa, parla di un’altra epoca, di un altro marketing e di un social network che ieri era tale, mentre oggi è un ecosistema di contenuti da un lato da maneggiare con estrema prudenza, dall’altro impossibili da ignorare: sono una grandissima opportunità per chi saprà gestire il cambiamento.
Che non è solo un cambiamento di piattaforma, ma di attitudini delle persone.
In pochi hanno sottolineato, infatti, che in questi dieci anni in cui Facebook ha avuto una crescita esponenziale, siamo cresciuti noi. Se la mia generazione – ribattezzata Generazione X da Douglas Coupland che ci definiva sovraistruiti, sottoccupati, chiusi nel privato e imprevedibili – ha accolto con sorprendente entusiasmo e grande cooperazione (in termini di contenuti generati) l’arrivo e la conseguente esplosione di Facebook, non altrettanto si può dire delle successive generazioni: quella dei Millennials, molto meno preoccupata di noi del precariato, e la Generazione Z che potrebbe cambiare definitivamente il mondo della comunicazione con una ricerca costante, quasi ossessiva, della verità.
Nel frattempo, i ragazzi che dieci anni fa condividevano contenuti su Facebook in maniera ossessiva oggi sono quarantenni che curano con più attenzione il proprio personal branding: si preoccupano dell’autorevolezza e della reputazione che il proprio profilo comunica, mentre si lasciano andare sulle stories di Instagram, ma solo perché “tra 24 ore non ci saranno più”.
Al tempo stesso, ci sono nuovi utenti fortissimi che non sanno com’era concepito il primo Facebook, ma che rappresentano il futuro di questa piattaforma soprattutto per i brand che vi investono ingenti cifre economiche e sono ossessionati dai Millennials, principalmente perché fanno fatica a comprenderne le logiche comunicative.
Questo nuovo volume non poteva ignorare questo passaggio.
La mia idea, e quella della mia co-autrice Monia Taglienti, è proprio quella di partire da capisaldi che possano permettere a questo volume di diventare un punto di riferimento per chi vorrà fare marketing sul social network numero uno al mondo. Rispetto al fortunato (e meritevole) “Facebook Marketing”, già figlio dei precedenti “Fare Business con Facebook”, si tratta di un volume più strategico, adatto a diverse tipologie di lettori, che non si limita a elencare le tattiche e le azioni da compiere a breve termine, ma aiuta i lettori/fruitori a pensare Facebook come un media che si evolverà ancora.
Abbiamo voluto approfondire per la prima volta temi come la privacy, l’utilizzo di Facebook durante il lavoro, e altri aspetti legali grazie al contributo dell’avvocato Federica De Stefani. Abbiamo affrontato con Valentina Baldon l’argomento dei contest online, da sempre scomodo per questioni di adempimenti, sanzioni e controlli.
Ma non solo: in un’era in cui tutto è global, abbiamo deciso di raccontare (perdonatemi, sono uno storyteller) come si fa local marketing con Facebook. Mettendo al centro di tutto la community, perché non è più tempo di piacere a tutti: è la costruzione della nicchia la vera sfida. Gli altri macrotemi a cui tengo particolarmente sono Facebook Marketplace, gli strumenti di vendita online, e l’advertising integrato fra Instagram e il social blu. Una parte estremamente importante è dedicata all’analisi dei dati e dei KPI, perché oggi più che mai le azioni sui social devono misurabili, ed è questo che fa la differenza.
Abbiamo voluto dedicare dei capitoli allo sport, alla musica, al turismo e ai casi aziendali di successo. A questi ultimi tengo particolarmente, perché le aziende dimostrano che esistono delle buone pratiche di comunicazione su Facebook, delle pratiche ingaggianti, oltre a un advertising mirato e specifico per il proprio target.
La scelta del titolo non è casuale. Rispetto ai tempi di Facebook Marketing siamo diventati tutti un po’ più “pro”. Lo è diventato certamente Luca Conti che continua a curare la collana Hoepli web 2.0, lo sono io che ho aggiunto 5 anni di esperienza sul campo con aziende tra le più importanti in Italia, lo è Monia Taglienti che abbiamo scelto perché è una professionista che ama studiare, sporcarsi le mani, monitorare i risultati.
Pro lo sono soprattutto i lettori, che conoscono lo strumento e lo utilizzano. Lettori che rispetto a qualche anno fa non hanno bisogno di trucchi, né di segreti, ma di strategie e di “visioni” future. Che in questo libro contiamo di dargli.