C’è qualcosa che mi turba ultimamente, a proposito della gestione della posta elettronica in azienda. Faccio una premessa. Poche Università e pochi Master (l’aggettivo pochi è un eufemismo) insegnano come va usato lo strumento posta elettronica. O come non va usato. Non parlo dell’uso della punteggiatura (per quello c’è la maestra elementare) o dell’utilizzo dello stampatello (eppure c’è ancora c’è chi persevera con questa cattiva abitudine). In generale poche “scuole” ti dicono cosa si fa davvero in azienda. Cosa succede una volta che metti piede in un posto di lavoro, come devi impiegare il tuo tempo. O come devi “spenderlo”. Nasce da qui una delle principali criticità del sistema aziendale italiano. L’idea più diffusa è che lavorare voglia dire stare tutto il giorno davanti allo schermo di un pc. Mandare mail e rispondere alle mail, inoltrare mail e stampare mail. Poi fare riunioni fiume (la moda è quella di chiamarle plenarie) al termine delle quali le idee sono sempre più confuse (se mai ce ne sono state). Ma chi ci pensa a parlare con le persone? (No, continuiamo pure a chiamarli consumatori…). E a fare formazione continua? Ancora: quanto tempo viene dedicato allo sviluppo di nuovi progetti, a conoscere nuovi potenziali collaboratori, a studiare i nostri punti deboli e cercare di migliorarli? Evidentemente poco. Siamo troppo impegnati con le mail. Ho 100 e-mail da leggere. Come se il numero di “lettere” (vi do una svolta, la traduzione di mail è lettere) ricevute fosse un indicatore rilevante. La mia personalissima impressione è che si abusi di questo strumento. Se andiamo a guardare tra quelle 100 mail forse ne troveremo 10 davvero importanti. Il resto è superfluo.

Le mail assomigliano sempre di più a quelle che nei social network vengono chiamate “notifiche“. Frequenti, rapide, se vogliamo superficiali. A volte, semplicemente, inutili. L’approfondimento è spesso un optional. E la qualità del lavoro ne risente. Senza contare che spesso vengono inviate in orari assurdi della notte o in giornate come la domenica con il solo scopo (antico e direi anche superato) di incutere timore o di mostrare un senso di superiorità gerarchico che non fa più presa nella società orizzontale che al rete sta diffondendo. Credo sia il caso di analizzare anche il comportamento di alcune aziende tedesche che impediscono ai server di spedire posta elettronica dopo un certo orario (le 18). Questo per salvaguardare la qualità del lavoro dei propri dipendenti. Così come ci sono alcune realtà che istituiscono settimanalmente il no mail day ovvero la giornata durante le quali le comunicazioni avvengono esclusivamente tramite telefono o contatto personale, soprattutto all’interno dell’azienda. Quando, per intenderci, piuttosto che alzarci dalla scrivania e fare due passi preferiamo intasare la posta del nostro collega. Sia ben inteso che con questo post non voglio assolutamente dire che la posta elettronica è un male, anzi. Io la utilizzo di frequente, anche da smartphone, e credo che il problema della stessa non sia nella distinzione sempre meno tangibile tra on line e off line. Dico soltanto che, come molti strumenti, diventa quasi superfluo, se se ne abusa.

A tal punto da non essere letta, da essere dimenticata o addirittura cestinata. Con buona pace di chi crede che lavorare sia soltanto stare davanti al computer. Tanto da arrivare a dire: “Ti ho mandato una mail ma non mi hai ancora risposto!” Come se stare davanti al monitor fosse un obbligo di ogni dipendente. Lo stile notify mutuato dai social fa sì che il mittente che non vede una risposta al suo messaggio nel giro di pochi minuti si senta abbandonato e legittimato a protestare. Ma il lavoro è fatto di molti altri fattori, altrettanto importanti, altrettanto validi. Uno degli obiettivi del prossimo futuro (aziendale) dovrebbe essere quello di sostituire la parola multitasking (suona anche male) con la voce “unicità“. Unicità di pensiero, di specializzazione, di percorso formativo, di formazione continua. Ridurre le comunicazioni inutili a favore di quelle indispensabili. Credo che anche le scuole di formazione dovrebbero inziare a lavorare in tal senso. Formando i futuri professionisti nell’ottica del minimalismo e crescendo una nuova generazione di uomini di marketing in grado di pensare per la persona e non per il consumatore.

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Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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