È già febbraio, le giornate ormai si allungano e dire “innanzi tutto buon anno” è finalmente diventata una forma di maleducazione. I progetti in piedi sono tanti, quelli che si reggono più di una buona metà. E questa, credetemi, è un’ottima notizia. A volte mi chiedo anche io come faccia a fare tutto, e la risposta è quasi sempre la stessa: delego, formo, informo. Una sorta di circolo virtuoso, che si può leggere anche al contrario. Fidarsi è in ogni caso l’unica via possibile. È impensabile poter essere contemporaneamente a Milano e a Bari, presenziare a tutte le lezioni de La Classe, seguire i progetti di Ad Mirabilia e di Martin Brando, leggere le proposte editoriali che arrivano da Hoepli, curare i rapporti con stampa e influencer, scrivere pezzi di calcio (no, le passioni non si toccano), gestire una community (attiva!) di oltre mille persone su Facebook.
E soprattuto lasciare una buona fetta di tempo per le idee, le ispirazioni e – perché no – per l’ozio. Ultimamente ho fatto meno formazione, ma quella che ho fatto mi ha detto discrete soddisfazioni. Prima di tutto a livello di relazioni. Mi capita spesso di essere (r)aggiunto su Linkedin o su Facebook, dove purtroppo ho finito lo spazio per i nuovi amici ma ho una Pagina, da studenti di corsi. Alcuni di loro sono molto bravi e motivati, e appena ho un progetto con budget mi piace metterli alla prova. Purtroppo ho un problema: mi annoio tremendamente a ripetere le stesse cose, e quindi mi tocca ogni volta cambiare le presentazioni. E questo è uno dei motivi per cui ultimamente ne faccio meno, unita ad una sana voglia di viaggiare meno rispetto agli ultimi anni.
La delega da sola è nulla. Ma non completerei la frase con “senza controllo”. Non è esattamente quello ciò che serve. Serve formare, e quindi serve capire se chi mi ha aiutato con un progetto ne è uscito arricchito, banalmente imparando qualcosa. E questo è un feedback di ritorno che chiedo sempre. In tempo sempre più frammentato, diviso – come dice il mio amico Dino Amenduni – in rivoli di tempo, dobbiamo cercare di sfruttare il più possibile questi rivoli. Per me è diventato fondamentale chiedere a chi lavora con me se è chiaro il senso di un progetto, il tempo che va dedicato ad esso, il modo di condivisione delle informazioni con gli altri del team.
E non parlo di Asana, Slack o Google Drive (tutti ottimi, sia chiaro una volta per tutte, ma nulli senza il supporto delle relazioni interpersonali), ma di una comunicazione fluida, umana, fatta di piccoli feedback costanti, di promesse mantenute. “Come va? Ce la fai per oggi? Mi metti in copia? Ti assicuri che il cliente lo abbia visto?”. Di telefonate quando c’è da spiegare una cosa, di piccoli premi – oggi una ragazza che lavora con noi a La Content ci ha chiesto di poter imparare meglio l’inglese, e secondo voi non siamo felicissimi di pagarle un corso? – di condivisione della cultura. Se è chiara la cultura, sarà più facile impegnarsi insieme a raggiungere l’obiettivo.
Inizia – dico inizia perché per me ieri era ancora gennaio e domani sarà marzo – un trimestre difficilissimo. Ci sarà la Digital night, La Fucina delle storie, le ultime lezioni de La Classe, i primi Fuoriclasse, a maggio La Masterclass che sarà un vero e proprio Festival del Content. Dobbiamo lanciare progetti nuovi, inseguire la qualità, pubblicare libri sempre più belli che vadano incontro alle esigenze dei lettori. E se mi chiedete perché, in un giorno in cui mi sono reso conto una volta di più di dover fare mille cose, ho trovato tempo di scrivere un pezzo per il mio blog, – sono sempre dell’idea che scrivere e condividere aiuta a fissare gli obiettivi – la risposta è molto semplice: bisogna (sempre) allenarsi a trovare tempo.