Il progetto Open Stories di Widiba si è confermato, ancora una volta, uno spazio in cui possono accadere connessioni inaspettate. Tipo mettersi a parlare di linguaggio insieme ad un astrofisico che indossa una felpa “no panic” nella sede di una Banca online. Open Stories è prima di tutto un percorso che seguo da quasi un anno. Ho ascoltato e letto molte storie durante questi mesi, come quelle di Cronaca Pop, il libro scritto dai dipendenti Widiba. Ma c’è un momento del percorso in cui capisci davvero perché un’azienda decide di aprirsi e rendere i propri racconti così “open”, e perché.
Lo storytelling è un mindset, non c’è storia che può fare a meno di un atteggiamento coerente. Se parli di ascolto, devi ascoltare. Se parli di attenzione, devi essere attento. E se parli di linguaggio – questo era uno dei temi della quarta puntata di Open Stories – allora devi andare a fondo e cercare le parole giuste. Quelle che comunicano, che creano empatia, che avvicinano. Comunicare vuol dire “mettere in comune”. E con questo spirito, quello di mettere in comune e di condividere qualcosa, Widiba mi ha coinvolto nell’evento del 19 novembre a Milano.
Italo Calvino, nelle sue Lezioni Americane, parla di “Esattezza”.
E scrive, a proposito dell’italiano dei suoi contemporanei:
“Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste nel linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.”
Non è forse quello che proviamo ogni volta che qualcuno utilizza con noi frasi fatte e parole vuote come “l’azienda giovane e dinamica” o “leader a 360°”? Oppure quando abusa dell’inglese inventando neologismi che non vogliono dire nulla? Grazie alla ricerca del linguaggio possiamo essere più incisivi, diventare divulgatori, recuperare parole che hanno un significato molto più forte di quelle deboli che utilizziamo per pigrizia. Luca Perri, astrofisico e grande comunicatore (“grande comunicatore” lo aggiungo io), ha spiegato che si può diventare divulgatori con un post di Facebook:
“Ho partecipato a seminari, convegni, scritto articoli su rivista scientifiche, pamphlet accademici. Ma nulla. Un giorno ho scritto un post di 100 righe su Facebook, una di quelle cose che un social media manager sconsiglierebbe, ed ho raggiunto migliaia di persone. Era un post in cui parlavo di scienza, non di gattini, eppure da quel giorno sono stato considerato un divulgatore scientifico”.
Dell’intervento di Luca Perri in Widiba mi hanno colpito due cose: la naturalezza e l’umiltà con la quale ha spiegato teorie scientifiche, e la potenza del linguaggio. Così semplice, così diretto, così contemporaneo. Il suo essere disponibile a sperimentare forme di comunicazione più “pop” come i social network, la disponibilità a spiegare senza essere saccente. È stato in quel momento che ho realizzato che il linguaggio è qualcosa di potentissimo, e non c’è una distanza così siderale tra comunicazione, scientifica, umanistica e finanziaria. Perché la vera sfida del futuro è farsi capire, abbattere le barriere dell’incomprensione senza rendersi banali.
Occorre prendere atto che siamo in una fase di cambiamenti linguistici rapidi, favoriti dai nuovi media. Se Facebook ha “già” compiuto dieci anni e ha in parte condizionato il nostro modo di dialogare con gli altri, costringendoci di fatto a rivedere alcune convenzioni linguistiche, oggi si fanno strada social network che si servono poco della parola scritta (Instagram) e ultimamente rinunciano anche a quella “orale”: su Tik Tok, ad esempio, si parla pochissimo e si canta molto. Le emozioni si esprimono più che altro con la mimica facciale, con le inquadrature e gli effetti. Non ci sono migliori o peggiori, e non c’è neanche uno scontro generazionale. Ci sono solo evoluzioni che condizionano la nostra comunicazione. Per anni le banche hanno comunicato da banche, cercando di escludere anziché “includere”. Mettendosi su un piano diverso dai clienti anziché farli sentire parte della propria storia. Widiba, con Open Stories , sta capovolgendo questo assunto. Tra le fessure delle sue storie ne ho vista una scritta molto bene. È stato un piacere farne parte.