Ci sono stati tanti argomenti a me cari, nella plenaria di Widiba dedicata ai consulenti finanziari. Tanti temi per i quali ogni giorno lavoro e sui quali sto concentrando il mio focus negli ultimi tempi. C’è lo storytelling, e lo si percepisce subito, da come è organizzata la giornata. Dall’idea di associare una storia ad ogni singolo membro del progetto. L’amministratore delegato, il nuovo head of advisors, i consulenti finanziari. Ad ognuno un nome, ad ognuno una storia.

Quella di un professionista straordinariamente preparato nel public speaking come Marco Morelli, o quella dell’AD Widiba Andrea Cardamone che ad un certo punto si alza dal palco d’onore, illuminato dai riflettori che di solito puntano verso il main stage per annunciare chi sarà il nuovo direttore di rete. Poi il coup de théâtre: un ragazzo, sic chiama Francesco, si alza e inizia a raccontare una storia fatta di sforzi, dedizione, passione per il lavoro. È quella del padre, Nicola Viscanti. Entrambi sono visibilmente emozionati, distanti ma uniti da una luce che ne sottolinea la somiglianza, ma è in quel momento che lo storytelling trova il su senso compiuto.

Perché Viscanti non è un manager che arriva da altre realtà, è un advisor cresciuto dentro Widiba, nel vivaio come dice Cardamone. È uno di loro, come recita il claim della giornata (#UnodiNoi). Osservo, incuriosito, prendo appunti. Perché storytelling non vuol dire, contrariamente a quello che si pensa, scrivere in maniera creativa. Ma comunicare attraverso delle storie coerenti con i valori del brand e delle persone che per quel brand lavorano. La sensazione è positiva, di agio. Non ne so molto di consulenza finanziaria, non è il mio ramo, sono un imprenditore e ovviamente devo interessarmi anche a questi aspetti, ma non sono il mio core business. Ma sul rapporto di Widiba con la narrazione, posso esprimere un parere assolutamente positivo. Molto bella anche l’idea, annunciata da Cardamone, di scrivere un libro di storie ad uso interno. Storie di persone, e quindi di vite. Ma l’evento del Teatro Pergola di Firenze, location bellissima tra l’altro, mi ha offerto altri spunti. Per me che scrivo di sport e che ho progetti legati alla gestione del team attraverso la metafora sportiva – che non sia banale e rimasticata, però – è stato un piacere scoprire Simone Moro, uno dei più famosi alpinisti al mondo, si è specializzato nella salita di ottomila in inverno.

WIDIBA SIMONE MORO UNODINOI

 

Ogni minuto in meno di allenamento.

Ogni minuto in meno di studio.

Ogni minuto in meno di applicazione.

Non è un minuto in meno.

È un minuto regalato all’avversario.

 

Simone ha parlato di capacità di adattamento, di previsione (quanto è importante “pre-vedere” nel suo sport, ma anche in azienda), del rapporto dell’uomo con la tecnologia, e di quello con il nostro Paese.

 

Quante volte ci diciamo di essere nel paese giusto?

Meno di quanto dovremmo.

Meno di quanto dovremmo.

Il suo è stato uno speech molto intenso, che la platea ha ascoltato in un silenzio quasi reverenziale. Per me un’ulteriore dimostrazione che lo sport può essere metafora aziendale, solo se raccontato nella maniera giusta. E il confine, il rischio estremo di una banalizzazione, è molto labile. Con pathos, senza inutili iperboli, e con la consapevolezza che non c’è impresa senza dedizione – credo che la parola sacrificio non sia mai stata nominata da Simone, perché la dedizione porta con sé la passione, il sacrificio no – e amore. Amore che traspare dalle parole di Simone e da quelle di tutti i protagonisti che si sono alternati sul palco. Non è semplice e nemmeno scontato, che alla convention di un’azienda si percepisca.

Io l’ho percepito. E sono sicuro ci sarà ancora modo di raccontare le loro storie.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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