Esistono poche cose più viscerali del legame tra il calcio, anzi il pallone, e la birra. Da oggi, a Bari, esistono poche cose più identitarie del legame tra la Fc Bari 1908 e la Birra Peroni. Un matrimonio perfettamente riuscito ancor prima di essere celebrato, a giudicare dall’entusiasmo dei tifosi sui social, e dal mood della presentazione avvenuta oggi allo stabilimento della Birra Peroni, a Bari.

Nessuno parla più della sconfitta di La Spezia, pochi sono proiettati sulla sfida contro l’Avellino, tutti vogliono la maglia del Bari con lo sponsor tanto desiderato. Si chiama Local Marketing: prendi un marchio noto a livello globale, collocalo nel giusto contesto e goditi il risultato. Il più classico dei win-win: vince l’azienda che promuove il proprio prodotto sulla maglia giusta, vince la squadra che si prepara ad una richiesta di maglie che molto probabilmente porterà ad una rottura di stock: basteranno a Zeus  – sponsor tecnico che si ritrova fortunosamente al centro di questo business – le maglie per fronteggiare le richieste dei tifosi e degli appassionati? E perché, deformazione professionale, non si è pensato ad una landing page con un tot di maglie in vendita (magari 1000) con un count down, proprio nel giorno della presentazione ufficiale?

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In Puglia ci sono stati già due precedenti: la Dreher sponsor del Lecce nei primi novanta e la Raffo, ovviamente, del Taranto. Quest’ultimo è un connubio che rasenta l’ossessione: le bottiglie di Raffo sono rossoblu, il payoff è “La birra dei due mari”, nel logo c’è il Delfino e allo stadio una delle canzoni più famose della curva contiene il mitico verso “bevìme ‘a birra Raffo e nnijnde cchiù” (i tarantini mi perdonino se con l’idioma sono meno pratico). La Peroni per i baresi è qualcosa di molto simile: e non si parla soltanto di stereotipi, alcuni francamente stucchevoli, come le mitiche sigle delle serie di Toti e Tata o le canzoni di Gianni Ciardo. C’è qualcosa di molto più profondo nel rapporto tra i baresi e questa birra.

Lo capisci anche da turista quando fai un giro al Chiringuito, o se ti fermi ad osservare due innamorati su una panchina del lungomare. Hanno in mano la stessa bottiglia di vuoto a rendere di quelli che giocano a tre sette ‘nderr la lanz. L’azienda l’ha capito da tempo, ed ha valorizzato questo legame indissolubile – anche con numerose campagne di marketing – che va ben al di là del fatto che a Bari la Peroni si produce. È la birra da bere quando si mangia la focaccia, è una foto su Instagram, un inno alla nostalgia per chi guarda le partite del Bari in una qualsiasi città del nord in cui il barista prova a proporre una bionda americana. E si vede rispondere “Ma la Peroni non ce l’hai?”.

La questione identitaria va persino oltre il gusto: conosco molto baresi (giuro, non farò i nomi) che mi hanno confessato di preferire altre birre, ma sarebbe come tradire la propria squadra, appunto. Chiedete ai tifosi del Newcastle se sono disposti a bere una birra che non sia la Brown Ale, o ad un tifoso del Liverpool se berrebbe qualcosa di diverso da una Carlsberg. E che dire del rapporto leggendario tra i Rangers di Glasgow e la McEwan’s Lager? Perché nel Regno Unito questo legame è ancora più forte, salvo il fatto che in questa stagione per la prima volta dal 1991 (ovvero dall’anno prima della nascita della Premier League), nessuna squadra del massimo campionato inglese è sponsorizzata da una birra. La sensazione, è che si tratti di un caso, o di una questione di investimenti. Certamente le compagnie aeree, quelle di gaming e di quelle di auto hanno più capacità di investimento.

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Non è il caso del Bari, e per questa volta è meglio così. La maglia biancorossa diventa bellissima, con quello sponsor al centro (l’azienda ha puntato su un brand specifico, la 3.5 a bassa gradazione alcolica: che sia un consiglio per i tifosi?). Non si tratta più di un’azienda da promuovere, ma di un modo di essere. Qualche tifoso sui social si è sbilanciato dicendo: “Questa non è una maglia, è uno stile di vita”. Un po’ come la birra Ichinusa per il Cagliari – ma con i sardi è facile fare local marketing, ci riuscì benissimo all’epoca il famoso Pecorino Sardo che campeggiava sulla maglia di Enzo Francescoli – o il liquore Strega che starebbe benissimo, ad esempio, sulle maglie del Benevento.

E intanto sui social sono già partite campagne di emulation marketing, con la birra Ceres che si auto-candida a sponsorizzare l’Avellino, prossimo rivale – e acerrimo nemico sportivo – del Bari in campo!

Ceres per Avellino

Perché uno sponsor non ha valore, e spesso non ha nemmeno ritorno, se è una pecetta attaccata all’altezza del petto dei calciatori. Sfido chiunque a ricordare gli sponsor del Bari degli ultimi dieci anni, da una birra dal nome innominabile ad una serie di agenzie di scommesse (a proposito di scelte forse economicamente felici, ma molto discutibili per la recente storia della nostra squadra) dai nomi quasi identici. Fino a partner di secondo piano confusi con patacche da mettere sulle maniche o sul retro. Nulla da tramandare ai posteri. Nulla di paragonabile a quello che fu ad esempio il rapporto tra Napoli e Buitoni, Juventus e Ariston, Milan e Mediolanum, Roma e Barilla e Inter e Misura. E da oggi aggiungeteci anche Bari e Birra Peroni. Perché il marketing non è (più) nulla senza il contesto. E il calcio, anzi il pallone, non sarebbe lo stesso senza birra. Soprattutto a Bari.

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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