Se non conosci questa gioia allora taci, perché i tuoi déi ti hanno condannato alla partita IVA. (Checco Zalone, Quo Vado)

È passato un anno da quando ho maturato la decisione di rinunciare ad uno stipendio e lavorare da libero professionista. Ora, voi vi starete chiedendo come è andata, se ci ho guadagnato, se sto bestemmiando con il commercialista o se sono un self made man super realizzato. Beh, niente di tutto questo. Mettetevi comodi che vi racconto per bene come è andata. Una premessa è doverosa. Come tutti ho fatto e continuo a fare degli errori, per cui non vi aspettate da me un post a sostegno di una o dell’altra posizione. Questa storia è la mia, può essere utile, così come può essere quella di uno scemo qualunque.

Io mi sono sempre trovato bene da dipendente. Anzi benissimo. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente competente e motivata. Da ognuno ho imparato qualcosa. All’Indesit ad esempio ho imparato a lavorare sotto stress, ero uno stagista e mi alzavo alle 6.30 per fare la rassegna stampa. Poi, siccome ero l’ultimo arrivato, aspettavo che la mia tutor andasse via per uscire. E la mia tutor (Lea ti voglio bene) non usciva mai. Nella mia prima agenzia ho imparato a vedermela da solo, su tutto. Dal mio capo di allora a comunicare i problemi solo dopo averli risolti. In Questagenzianonhanome ho lavorato sulla costruzione di un team, dai miei superiori ho imparato l’importanza della focalizzazione.

Nella mia ultima esperienza in azienda ho avuto semplicemente la fortuna di vedere all’opera il miglior organizzatore di eventi che io abbia mai conosciuto. Si chiama Marcello Mancini ed ho poco da aggiungere, se non che la sua è una macchina perfetta; ero io che avevo già in testa di dedicarmi ad altro. Ho rinunciato ad un buonissimo stipendio ed ho ricominciato da zero. Non chiedete mai l’appoggio ad un genitore per una cosa del genere, ma mia madre stava facendo la chemioterapia e non se n’è accorta. È solo quando siamo disperati che prendiamo decisioni del genere. Quando abbiamo fame e quando sappiamo cosa siamo disposti al perdere. Nel mio caso stipendio, telefono aziendale, alcuni benefit che non ricordo più. Ma non mi sento di dire che non ero felice, anzi. Mi mancavano alcune cose sì, ma non le solite stronzate del tempo libero e simili.

Perché quel giorno ho accettato un grande compromesso con il tempo: sei libero di gestirlo e quindi da quel momento pesa il triplo. Non giochi più in difesa “speriamo che arrivi presto il week end“, ma in attacco “facciamo sì che questa riunione non duri più di un’ora“. Poi c’è il tempo da dedicare al commercialista, quello per le fatture, quello per la formazione (necessaria). Quello per la lettura. All’inizio ho pensato più che altro ad accumulare commesse, poi ho capito che il vero segreto, il vero punto a favore di questo percorso che, come ho detto più volte, non è assolutamente detto che sia definitivo, è lasciar cadere. Sì, avete capito bene, lasciar cadere. Se una cosa non vi piace, non la fate. Iniziate, provate, poi lasciate perdere. Quel tempo vi serve. Piuttosto riempitelo con la formazione, con un’attività che può posizionarvi, ma non con cose che non vi soddisfano.

È difficile, ci vuole tempo, bisogna sopportare alcuni mesi in cui si fattura poco, ma ne vale la pena. Siate leggeri. Siete come allenatori di calcio. Potete dimettervi o essere esonerati, poi se siete bravi un’altra panchina si trova. Nel mio caso cerco di lasciare spazio anche ad attività meno remunerative ma che mi appagano e mi posizionano. La collaborazione con alcune testate sportive, la scrittura di racconti e romanzi, la conduzione di eventi (sempre Storytelling è), la docenza all’Università – no, non si diventa ricchi senza essere professori ordinari – il networking. Ho fatto dello scambio merci uno stile di vita. Ripenso a quando mi dicevano che con i social non fai la spesa. Forse la spesa no, ma il corso d’inglese, l’abbonamento in palestra e qualche viaggio sì. È una mia scelta, scambio la mia consulenza con questo tipo di cose, conviene a tutti e per me è sì.

Se non si è abili ad organizzare l’agenda si viene sopraffatti. Ho detto “agenda”, non calendar. Non basta riempire le caselle, è una propensione che io ho imparato arbitrando. Se si è troppo sensibili alle lettere dell’Agenzia delle Entrate meglio lasciar perdere, poi però ci si abitua anche a quello. Le soddisfazioni vengono, tutto sta nel non pensare troppo a cosa accadrà domani, se avrai ancora richieste, se avrai una pensione e tutte queste cose che personalmente reputo distanti dalla mia generazione. Ma è un mio pensiero. Penso anche che lavorando bene da soli ci si possa costruire un curriculum interessante per un domani in cui si vorrà rientrare in azienda. Credo infatti che lavorerei nuovamente da dipendente se sapessi di dedicare dieci ore al giorno ad una cosa che mi appassiona davvero. E che quindi rifarò questa scelta se un giorno ci sarà questa opportunità.

Per ora mi godo, ma godo non è il verbo giusto, forse ci starebbe meglio “valorizzo“, questa esperienza. I contatti, le collaborazioni, la possibilità di scegliere. il che non vuol dire andare a fare una passeggiata alle 11 di mattina, perché prendo molti più treni all’alba adesso di due anni fa. E vi assicuro che il sabato lo passo spesso a lavorare. Sono scelte, è un po’ come un tetris: cerchi di incastrare cose e di non fare come il criceto nella ruota. Questo è l’obiettivo, ed ecco perché è indispensabile lasciar cadere le cose. A Natale non ci sarà la tredicesima e sarò io a decidere se fermarmi e per quanto, perché il concetto di ferie non esiste più. Ma non per questo non esiste il concetto di pausa. Che è sacro, e su questo tema vi invito a leggere questo post, ormai epico, di Osvaldo Danzi.

Per cui non vi aspettate da me una conclusione definitiva, cosa è meglio dipende da voi, dal momento, dalla voglia di rischiare. Dalla paura. Io l’ho fatto nel momento peggiore, quando tutte le condizioni – economiche, familiari e psicologiche – indicavano il posto fisso come unica via. Ma mi sembrava scorretto verso chi mi pagava e verso me stesso. E così ho alzato il telefono, ho chiamato una mia amica esperta di branding e le ho detto: “Devo investire su di me, devo riposizionarmi”. E da lì è cominciato un percorso. È passato un anno e qualcosa è stato fatto. Ma siamo appena all’inizio. Se tra un po’ di tempo vi dovessi dire che ho cambiato idea non prendetemi per incoerente. Sono solo uno che ama mettere in discussione le cose. E, a volte, lasciarle cadere.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

4 Comments —

  1. Bravo: semplice ma estremamente efficace! Forse perché vivo da vicino anche io la sensazione di voler fare da sola! Sono ancora una felice dipendente anche se lavoro di sabato, domenica e difficilmente le mie ferie corrispondono a ozio o vacanza!! Studio, mi formo, mi faccio un gran culo insomma nell’attesa di avere il coraggio di fare il grande passo e iniziare a volare!Buona Fortuna????

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