“Io ti voglio celebrare, come un prete sull’altare” (Max Gazzè)
Ho scoperto che il grano graffia. Però non provoca dolore, al massimo lascia qualche segno, ma sono quei segni che ti porti volentieri addosso. Mi era capitato di stendermi su un prato nelle Marche, sulla sabbia della costa adriatica, sulla terra rossa della mia Puglia, ma mai in un campo di grano. All’inizio ero titubante. Indeciso sullo stendermi o meno, mi sono lasciato andare. E da quel momento ho capito che c’è un legame ancestrale con questa terra. La mia.
Pasta Granoro, azienda di Corato (la terra del Grano), ha deciso di far raccontare ad alcuni Instagramer (grazie a Alice Salani, Marco Biscotti e Benedetta Mariotti) e appassionati di nuovi linguaggi (tra cui Snapchat), la raccolta del grano, che in Puglia si celebra, e celebra è il verbo giusto, alla fine di giugno. Rito laico e religioso assieme, compimento di un annata di sacrifici, lavoro dure e schiene ricurve. Di colore e calore, di freddo, gelo e tempesta. Di una primavera che ogni anno sa sorprenderti, nella maniera più originale possibile: rimanendo sempre se stessa. Stessi odori, stesse luci, stessi sapori. L’ora legale, il buio che arriva sempre più tardi. Eppure ci si sorprende, ogni anno. Come se fosse una novità, una riscoperta.
E poi il calore dell’estate, e il grano che diventa materia prima, pasta (e sorriso) da portare a tavola. Il pranzo della domenica, le raccomandazioni della nonna “mi raccomando, mangia che devi crescere. Stai sciupato“. C’è un mondo da raccontare, e non basta una giornata. Per questo continueremo a farlo. Spiegheremo come ha fatto il grano arso a trasformarsi da scarto in materiale pregiato. Non saremo food blogger, saremo narratori, e ciascuno lo farà con il suo strumento preferito. Chi userà l’inchiostro, chi la fotografia, chi i video, chi la musica. Saremo trustimonial, come ho detto al mio amico e collega Alessandro, perché è tempo di credere in quello che si racconta. Altrimenti si fa una brutta figura e basta.
Ho pensato a tutto questo mentre ero steso in campo di grano, con una canzone di Battisti in testa a il rumore di una mietitrebbia che da lontano scandiva il tempo di quanto, ancora, potevo restare a guardare il cielo della campagna foggiana. Un cielo sereno ma severo, di quelli che promettono pioggia e non la minacciano. Perché da queste parti è tutto una promessa, devi solo saperla cogliere per sorprenderti ancora davanti ad un piatto di pasta con il pomodoro fresco. E ora so quanto è bello restare a bocca aperta in un campo di grano. Con il respiro regolare e la voglia di chiudere gli occhi e non sentire il rumore intorno.
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