Domenica 21 marzo del 1976 scatta la mia ora. In settimana vengo avvertito che sarebbe toccato a me fare la radiocronaca di Trapani-Bari. Ma ho un problema: come dire in famiglia, agli amici, di questa nuova attività, fortemente controindicata per un balbuziente? Mi avrebbero creduto? Cosa avrebbero pensato? Le ore passavano e il sabato pomeriggio ne parlai a mio padre.
“Babbo, veramente domani vado a Trapani per fare la radiocronaca della partita, sai, ho provato e mi è andata bene. In fondo è un’esperienza che voglio fare…”
“Tu sei matto”, è la sua risposta secca. “Come, – mi dice in dialetto – il Signore ti ha dato una disgrazia e tu che fai? Lo vai a sfidare? Ma senti a me statti qua, che è meglio per te”
Ovviamente non gli do ascolto e seguo il mio istinto, pur capendo le sue ragioni. Sapevo che tutte le prove erano andate bene, e pensavo, proprio la diretta devo sbagliare? La domenica mattina prendo un DC9 dell’Ati diretto a Roma, stracolmo di notabili democristiani che si recano nella Capitale per celebrare il Congresso del loro partito. La paura di fare schifo con la radiocronaca è tanta e tale da non farmi avvertire quella per il primo volo della mia vita. Da Roma, con un vecchio Fokker, raggiungo Trapani e quindi, in bus, la zona dello stadio. Non mangio. In quelle ore, che a tratti passano veloci e a volte non passano mai, mi concentro al massimo. Nella toilette di un Bar di Trapani abbozzo una radiocronaca: balbetto che non vi dico, anche perché il titolare mi prende per matto sentendomi parlare da solo, in quei pochi metri quadrati davanti al water. E infatti non mi fa neanche pagare la consumazione.
“Aveva ragione mio padre – penso sconsolato – maledetto me per non averlo ascoltato”. E poi: “ora chiamo Laricchia e gli dico che non mi sento bene, che non la posso fare. Ma no, ci provo”.
Altra prova nel bagno (anzi nella latrina) dello stadio: va meglio. Arrivano le 14,10: mi chiamano dalla radio per fare le prove. Li, in Via Fanelli 215, decimo piano, ci sono tutti e io li immagino anche se non li vedo. Immagino che dicano tra loro: “chissà che cavolo combinerà Salomone!”
Il mezzo usato per fare la radiocronaca è quello telefonico. In settimana avevamo chiesto alla Sip di allacciare una linea allo stadio di Trapani. In postazione, (è la mia prima volta in una Tribuna Stampa), trovo un tecnico della Sip e l’apparecchio telefonico (quello grigio, classico dell’epoca) che dovevo tenere nella mano sinistra, per novanta minuti.
In partita vado come un treno! Sento di fare un buon lavoro. Il Bari prima va sotto di un gol, poi pareggia con una bella rete di Lello Sciannimanico. Finisce uno a uno. Mi precipito in una cabina telefonica e chiamo la radio
“Come è andata?”
“Benissimo” mi sento rispondere dal tecnico di turno.
“No, voglio sapere come sono andato io!?”
“Non me ne intendo!”
“Ma Laricchia e Loperfido cosa hanno detto?”
“ Non lo so, se ne sono andati e basta!”
Fossero esistiti i cellulari li avrei inseguiti in ogni dove ma loro, a casa, non erano ancora arrivati e dovetti attendere il mattino successivo per sentirmi dare un bel voto tranquillizzante da Emilio e Mimmo. Ricordo solo che da quel giorno non ho smesso più. E sono passati 38 anni.
Michele Salomone.
Ringrazio l’amico Michele per aver regalato a U Bar iè fòrt un’anticipazione dal suo prossimo libro.
Foto: Cristiano Carriero, Michele Salomone, Mirko Cafaro alla presentazione di “Che Storia La Bari”