La partita più bella è quella che deve venire. Ed è per questo che racconterò, per la prima volta, una partita che il Bari deve ancora giocare. In fondo la mia è una rubrica dedicata alle emozioni, mica alla cronaca. E di emozioni vi parlerò, fino alla nausea. Non ci sarò allo stadio, ma è come se fossi già al San Nicola a cantare Bari grande amore. Ad abbracciare il mio vicino di posto guardando, finalmente e anche per merito degli avversari, lo stadio in festa.
Non siamo falliti, siamo più vivi che mai. Semmai sono falliti loro, i padroni del vapore. O meglio, quelli che erano i padroni fino ad una settimana fa. Ma i colori, la maglia, la sciarpa e la bandiera rimangono sempre nostri. I curatori fallimentari stanno facendo i loro conti, ma non ci fanno paura. Quando domani guarderanno i servizi su Bari – Avellino non crederanno ai loro occhi. Si chiederanno come sia stato possibile aver fatto sprofondare così in basso tanto amore.
Poi inizieranno ad immaginare in quanto poco tempo può tirarsi su una città con questo pubblico e questo entusiasmo. Poco. Pochissimo. Gli imprenditori e gli avventori inizieranno a capire cos’è Bari e quale tifoseria si porta dietro. Dipende da noi, ecco perché riempire lo stadio, domani, è un atto d’amore. Che avverrà.
Andremo in svantaggio, lo sento. Perché la nostra difesa andrà in bambola guardando quello che non ha visto mai. I ragazzi capiranno finalmente, dopo una, due, tre stagioni, in quale piazza sono finiti a giocare. Con quale maglia scendono in campo ogni sabato e quali colori difendono. I tifosi canteranno – Siamo sempre con voi, non vi lasceremo mai – e loro rialzeranno la testa subito. Palla al centro, ricominciamo.
Inizieranno ad attaccare, disperdendo pian piano le energie. Schemi precisi attuati in maniera confusa, perché ogni volta che alzi la testa inizi a pensare Ma dov’era tutta questa gente? Il portiere avversario si gaserà ergendosi ad estremo baluardo, perché mai nella vita aveva combattuto contro trentamila persone che cercano di soffiare per spingere il pallone oltre la linea di porta. Miracoli su miracoli, qualche contropiede sprecato.
Poi, a pochi minuti dalla fine, il tiro delle disperazione. Non importa di chi, ma lo immagino di un centrocampista. Magari con i piedi un po’ storti, t’rciut come diremmo noi. Una deviazione. Portiere da una parta e pallone dall’altra. Il boato del San Nicola, per un pareggio insperato. Quell’abbraccio incredibile, di quelli che nemmeno nella finale di Coppa dei Campioni. Perché esultare tanto per un pareggio? Perché il cuore, fanculo, vale più della classifica. Perché puoi fallire, puoi perdere, puoi retrocedere, ma non puoi privarti mai della gioia più grande del calcio: innamorarti.
Forza Galletto, il risultato non conta domani. Conta il tuo ardore.