La parola tragedia non è adatta al calcio. Spesso usata a sproposito, ha finito per far passare gli sportivi per una categoria di insensibili. Ai problemi veri, intendo. Tragedia è un terremoto, tragedia è un disastro aereo, tragedia è un alluvione come quello odierno di Olbia. Pesare bene le parole è un dovere dei giornalisti e ormai anche dei blogger. Anche la parola dramma non mi fa impazzire. Nemmeno nella sua eccezione di dramma sportivo. Quello che vado a raccontare è un piccolo melodramma, come da definizione di Wikipedia, scopertamente mirato a commuovere lo spettatore.

Di melodrammi, il calcio, ne ha visti diversi. Me ne vengono in mente quattro su tutti, ma l’elenco potrebbe durare all’infinito e coinvolgere moltissimi sportivi. Certo nessuno può dimenticare quello del Maracanà del 1950. Al Brasile bastava un pareggio per vincere il primo Mondiale e invece Ghiggia e Schiaffino portarono il titolo in Uruguay ribaltando una partita già scritta. Nel 1999 il Bayern Monaco aveva già le mani sulla Coppa dei Campioni quando Collina ordinò 3 minuti di recuperò. Il Manchester United riuscì non solo a pareggiare ma addirittura a vincere quella Coppa. E che dire delle lacrime di Ronaldo il 5 maggio 2002 (scudetto volato all’ultima giornata) o della rimonta del Liverpool contro il Milan nella finale del 25 maggio 2005? Da 3 a 0 a 3 a 3 passando per gol annullati, traverse e miracoli di Dudek.

[tweetable]Capirete che con questi presupposti quello che mi accingo a raccontare è solo un piccolo melodramma di provincia.[/tweetable] Ma la storia del calcio è pieno di queste fiction dimenticate, introvabili su Youtube, che solo una buona memoria e tanta passione possono preservare. Il 29 marzo del 1992 mio padre mi svegliò presto. Come ogni domenica mi portò a giocare a pallone al Club Paradiso. Trascinavo il borsone snobbando quella partita tra bianchi e verdi. Nel pomeriggio c’era il derby, quello che avrebbe consentito al mio Bari di rimettersi in carreggiata per la salvezza. Storie di serie A, di un campionato partito con una serata di gala al San Nicola, quando in una calda notte di luglio venne presentato, davanti a 30.000 persone, il nuovo capitano: David Platt. Per intenderci, e con le dovute proporzioni, come se oggi una squadra di seconda fascia comprasse Rooney o uno dei giocatori più talentuosi della nazionale inglese. Fate voi.

Prima qualche pareggio stentato, poi una serie di sconfitte e l’esonero di Salvemini fecero luce sulle reali potenzialità di quel Bari. Carrera e Maiellaro erano stati sostituiti male, Joao Paulo si era rotto e Platt predicava nel deserto. Eppure, grazie ad un discreto girone di ritorno Zibì Boniek aveva rimesso il Bari in carreggiata. E quale migliore occasione del derby per venire definitivamente fuori dalla zona retrocessione? Tra l’altro, il Foggia allenato da Zeman, era in crisi. Dopo aver stupito l’Italia con zona, pressing e velocità, iniziava a pagare il dazio dell’inesperienza di alcuni suoi interpreti. Insomma, tutto lasciava pensare che per noi sarebbe stata un grande giornata. Mi diedero una bandiera rossa appena arrivato allo stadio. A mio padre ne diedero una bianca. La coreografia fu una delle più belle che io, a memoria, ricordi. Trentamila bandierine e uno stemma degli Ultras al centro. La trovate in diversi locali: bar, sale da barba, ristoranti. Tutti a ribadire l’orgoglio di quella curva. In pochi ricordano, però, che dopo quella coreografia, così ben immortalata dagli obiettivi di allora, ebbe inizio il vero spettacolo. E quello spettacolo lo diedero gli avversari.

I giocatori di Zeman correvano come ossessi. Sembrava una partita squilibrata. Si giocava in 11 contro 22. Loro correvano il doppio. Il pubblico fischiava, non capiva, constatava che, dopo 10 minuti, il Foggia era già passato in vantaggio con un gol in scivolata di Baiano e che i giocatori del Bari erano già finiti sette volte in fuorigioco. Il Bari non c’era. Al 33′ Shalimov, con un tiro dalla distanza, faceva volare le prime bandierine bianche e rosse nel fossato. Bari 0 – Foggia 2. Mio padre mi guardò per un attimo. Voleva capire il mio grado di sconforto. Feci spallucce, non sorrisi. Ma di certo non ero fiducioso. Mi rispose con un laconico Sono più forti e non aggiunse altro. Non voleva crearmi false illusioni. Capirai, adesso si chiudono, disse il vicino. Macchè questi attaccano ancora, rispose mio padre. Non amava molto gli incompetenti, in qualunque campo, e quello gli era sembrato un commento da incompetente. Oggi sarebbe semplice dire una cosa del genere di Zeman, allora non era scontato: il Foggia continuò ad attaccare, a dominare e qualcuno scelse addirittura di abbandonare lo stadio per recarsi all’Expo Levante.

Sbagliarono, perché a furia di attaccare il Foggia si scoprì. Rigore per il Bari. Mi copro il volto con la sciarpa, tira Platt e batte Mancini. La partita che sembrava persa era incredibilmente riaperta. E mancava mezz’ora. Adesso si chiudono, insiste il vicino. Mio padre nemmeno gli risponde. Ma non si chiudono. Il Bari, praticamente, non riesce più a superare la metà campo. Loro rischiano, loro creano, loro attaccano. Zeman non fa un piega, guarda i suoi giocare senza paura e si fuma una sigaretta alla faccia nostra, che stiamo retrocedendo in serie B. A 5 minuti dalla fine Kolyvanov, altro sovietico (si chiamavano ancora così, ma era questione di mesi all’europeo parteciperà la CSI), con un diagonale chiude la partita. Bari 1 – Foggia 3. In molti applaudono, i tifosi del Foggia vanno in visibilio, io chiedo a mio padre se ha senso restare. – mi risponde lui – a fine partita dobbiamo applaudire questa squadra. Perché credimi, non ce la dimenticheremo.

Di quella giornata mi resta la mano di mio padre, il suo spirito sportivo, il fatto che oggi non c’è più e mi manca, cazzo se mi manca, vedere una partita con lui. [tweetable]E di quella giornata resta una squadra coraggiosa, un allenatore impassibile e 30.000 bandierine[/tweetable] buttate nel fossato che separa il pubblico dal terreno di gioco. E una foto appesa in tutti i Bar della città. Una bella coreografia e una lezione di calcio che non dimenticherò mai.

ps: non chiedo mai nulla per i miei articoli, sono frutto di passione e grazie alla vostra passione vengono conosciuti da altri. Ma se ti è piaciuto ti chiedo di condividerlo sul tuo social network preferito o di dare un’occhiata al mio romanzo, Domani no.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

9 Comments —

  1. Io ero in curva nord quel giorno ed avevo portato la mia futura moglie (foggiana). Ero pieno di aspettative ma lasciai lo stadio a testa bassa. Non so perchè ma è la partita che mi ha lasciato più emozioni, tra tutte quelle che ho visto del bari.

  2. sono un foggiano e studio a bari. siete un popolo con un grande cuore e quello che scrivi lo dimostra. viva la puglia,viva il sud. VIVA IL CALCIO,quello vero,quello che hai raccontato

  3. avevo 14 anni, quello fu il mio primo derby, vissuto ovviamente in curva Nord. Niente bandiera per me, ma poco prima dell’inizio della partita sulla mia testa e su quella degli altri tifosi vicini venne srotolato un telo bianco, da sotto non riuscimmo a godere dell’unicità di quella coreografia, ma ricordo benissimo che sopra di me campeggiava il numero 9 della scritta 1976. Anch’io ero piena di aspettative, fu una delusione cocente, per il derby e per la retrocessione, onore a quel Foggia e a Zemanlandia, una squadra così credo sia irripetibile nel sud Italia.

  4. ore 0:50. Domani mi devo alzare presto, ma leggere da un “Barese” degno di tale nome un racconto cosi semplice, ma nello stesso tempo cosi dettagliato ha riacceso in me il ricordo nitido di quella memorabile partita minuto per minuto ! onore a te cugino barese e onore a tuo padre che da lassu’ ti tiene ancora per mano

  5. Vi ringrazio tutti per i commenti e soprattutto per la sportività. A distanza di vent’anni ognuno di noi riconosce la grandezza (e la bellezza) di quella squadra, il Foggia di Zeman. Una squadra è grande quando fa divertire, fa sognare e diventa indimenticabile. E il calcio è bello anche per le sconfitte, perché fanno parte della vita di tutti i giorni. Con umiltà credo che questa rubrica abbia questo di diverso dalle altre. Non è esaltazione sterile della vittoria. Ma del momento. Dei ricordi belli e di quelli meno piacevoli. Riconosce i meriti dell’avversario, va oltre la comune concezione del calcio. Ancora grazie a tutti voi.

  6. Complimenti per come scrivi, complimenti per la sportività, complimenti per la passione che ti è stata trasmessa dal tuo papà, quella passione che solo noi “calciofili” possiamo capire.
    Ho vissuto a Bari per una decina d’anni e ho imparato tante cose, di Bari, dei baresi, e de “La Bàri”, mi hanno lasciato il segno.
    Un abbraccio da Foggia e in bocca al lupo per tutto. Sì fòrt!

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