Sono innamorato degli Anti-divi, almeno quanto sono innamorato del calcio. C’era una volta Alexi Lalas, e per me fu idolo a prima vista. Capelli lunghii, pizzetto alla Buffalo Bill e l’aria di quello che passava lì per caso “I tifosi italiani sono matti, parlano di calcio tutta la settimana – diceva con aria innocente – per me la domenica sera è finito tutto, me ne sbatto se la mia squadra perde, la vita continua“. Suonava la chitarra Alexi, scriveva canzoni pessime e mangiava hamburger e patatine prima della partita. A suo modo era un Personal Branding, uno che da solo valeva il prezzo del biglietto e faceva vendere maglie. Io, per esempio, comprai la sua maglia degli Stati Uniti (quella con le stelle, una delle più belle e pacchiane viste in un mondiale di calcio) e da quel giorno sposai il numero 22 per sempre.
Sono passati molti anni e diversi personaggi, ma il calcio è rimasto sempre lo sport delle creste, dei colletti alzati alla Cantona, degli addominali scolpiti e dei corpi depilati. Oggi l’Anti-divo della serie A è sicuramente Davide Moscardelli, una vita in provincia a rincorrere un pallone e buttarlo in porta. Non esattamente un giocatore scarso, chiedere ai tifosi del Piacenza per informazioni. Lì forse le sue migliori stagioni. Nello stesso ruolo che fu di Pasquale Luiso, il toro di Sora, e di Darione Hubner, non proprio un Adone. Piuttosto un calciatore genuino, poco atletico ma molto concreto.
Di Moscardelli si erano un po’ perse le tracce, oggettivamente. Dopo i tanti gol in serie B, ha faticato a trovare la propria collocazione in serie A (e diciamo che no l’ha trovata). Nel Chievo era quello che entrava negli ultimi 10 minuti per creare scompiglio in area, grazie alla sua stazza e ai suoi movimenti poco aggraziati. A Bologna molta panchina e un’idea: farsi crescere la barba. Niente di meditato, eppure una mossa geniale in termini di Personal Branding. L’Anti-Divo non segna ma attira le simpatie anche di chi di calcio non se ne intende. Capelli lunghi, fisico non proprio asciutto (anzi pancetta ben in vista) e barba alla Robinson Crusoe. Su Twitter MoscaGol supera i 60.000 follower grazie ad un logo appositamente studiato per lui: FlyBeard. Una Bio sintentica Born in Belgium… Made in Italy ma significativa (“Caso mai mi chiamasse la nazionale belga” – dice) e ancora una linea di magliette e accessori (prima) sempre dal nome FlyBeard e creme da barba (poi), a marchio Wild Beard.
L’Anti-divo inventa un business e trasforma la sua crisi di identità in un vantaggio competitivo (avete capito bene, in termini economici, non solo di notorietà). Si dirà: certo se segnasse e facesse il suo mestiere sarebbe meglio. Ma se Moscardelli a 33 anni avesse trovato un business alternativo non sarebbe comunque da apprezzare? E la sua non sarebbe una storia da raccontare? O siamo qui solo per parlare di calcio? Ok, se proprio insistete, prendo la palla al balzo. Anzi, di controbalzo, rischiando di colpirla con il ginocchio o di stinco, come capiterebbe a MoscaGol. Perché mai, proprio quest’anno, il glorioso Bologna FC decide di affidare la maglia numero 10 a Davide Moscardelli? Una maglia che, ricordo, fu di un certo Roberto Baggio (Ah, da quando Baggio non gioca più…)
Quanto conta la classe (o la bellezza) in termini di maglie vendute? Secondo me poco. Perché non esiste solo il divo alla Cristiano Ronaldo. C’è anche l’Anti-Divo alla Moscardelli. E, in ogni caso, aspetto con ansia la prima asta di Etwoo con la maglia del numero 10 del Bologna per vedere a che cifra, da donare poi in beneficienza, può arrivare la sua casacca.
Abbiamo parlato di Personal Branding: se vuoi approfondire l’argomento ti aspetto il 18 settembre a Pescara presso lo spazio di Paolo, assieme ad Osvaldo Danzi e Luna Margherita Cardilli. Evento organizzato da FiordiRisorse.