Il bello del pallone è che a volte bastano 30 secondi a farti ricordare una partita per tutta la vita. Anche se questa partita non è la finale dei mondiali, o di Champions League. Trenta secondi vissuti, intensi, lunghissimi, che restano nella tua mente per sempre. Per questo il calcio è bellissimo anche senza tiqui taca. Perchè un batti e ribatti senza senso, in area di rigore, con giocatori che diventano muri umani e un pallone che rimbalza malissimo su un terreno infido, è spesso la vera essenza di questo sport. Di questa partita contro il Chievo conservo gli umori, il gusto, le voci, il batticuore. Le mani davanti agli occhi in quei minuti recupero, come in un film di paura. Le dita che stringono nervosamente la fodera del divano, ci si aggrappano, come ad una speranza. Respingi sto cazzo di pallone, respingilo. Quei diavoli in maglia gialla, assatanati e duri a morire, che non mollano mai.

Il Bari ha iniziato bene la sua nuova avventura in serie A. La squadra di Conte, diventata nel frattempo di Ventura, si conosce e non sembra soffrire troppo il cambio della guida tecnica. L’inizio è folgorante e il pareggio di San Siro contro la squadra che vincerà tutto lascia presagire un annata di soddisfazioni. Ma alla quinta giornata arriva la prima sconfitta in casa, contro il Cagliari. Un incidente di percorso e comunque un monito: non sarà una passeggiata. I ragazzi (all’epoca siamo lontani da pensieri atroci su scommesse e marciumi vari) reagiscono e una settimana dopo vanno a cogliere un punto importantissimo, di nuovo a San Siro, contro il Milan di Leonardo, quello che oggi ha chiesto la mano in diretta televisiva alla sua compagna, Anna Billiò. Punto fondamentale non tanto per la classifica, quando per il morale. Il Bari domina, spaventa, attacca, si rammarica per non aver vinto. Ma stupisce l’Italia, come spesso accadrà in quella stagione. Dopo uno scialbo pareggio casalingo contro il Catania, arriva la trasferta di Verona. Una trasferta difficile rispetto alle precedenti: si gioca sul campo di una diretta concorrente per la salvezza. Non c’è più da stupire, sono finite le gare di rodaggio, quelle in cui non c’è niente da perdere, è arrivata la partita che ci dirà chi siamo. Per la cronaca, è il 18 ottobre del 2009.

Ventura conferma Ranocchia e Bonucci al centro della difesa, nonostante qualcuno si ostini a chiedere l’arrivo di un difensore di esperienza al posto del secondo. Chi lo definisce distratto, chi falloso, chi disordinato. Ma Ventura non sente ragioni. Nonostante l’esperienza di Pisa (squadra retrocessa in C a fine stagione, con Giordano in panchina) ha pronosticato per Bonucci un futuro da campione. Deve solo applicarsi e ascoltarlo. Sfruttare la sua abilità nel rovesciare l’azione e avere fiducia nei propri mezzi. Fiducia che presto Leonardo conquista, e non abbandona più. Il Chievo, che viene da una preziosa vittoria a Cagliari, è squadra scomoda, sgorbutica, guidata da un allenatore che inculca alla sua squadra la stessa mentalità che aveva da giocatore: correre, correre, correre. Non tutti sanno che, in un intervista alla Gazzetta dello Sport, nientepopodimenoché Zinedine Zidane dichiarò che l’avversario che l’aveva messo maggiormente in difficoltà, durante la carriera, era stato proprio Mimmo Di Carlo. Correva come un matto, non mi faceva respirare, non toccai un pallone. Parlava di una partita della Juventus a Vicenza, nella sua prima stagione italiana.

La sua squadra va ad una velocità pazzesca, fa pressing e può contare su dei giganti capaci di fiondarsi senza paura su tutte le palle che gravitano in in cielo: Pellisier, Granoche, Bogdani, Yepes, sono brutti clienti per i colpitori di testa del Bari, che però non sono da meno. E lo dimostrano subito. Punizione tagliata di Sasà Masiello, altra (ri)scoperta di Mister Libidine, e colpo di testa astuto di Almiron che spedisce la palla nel sette, alle spalle di Sorrentino. Il suo colpo di testa è più preciso che potente, si inarca per poi abbassarsi e infilarsi nell’unico spazio consentito. Il Bari è in vantaggio e l’argentino esulta. Io pure, dal divano di casa. Non mi illudo, ma mi rassereno. Non abbiamo paura di nessuno. Il Chievo prova a rispondere subito, e ci riesce con Luciano che si mangia un gol incredibile, praticamente a porta vuota. Gillet da sicurezza, non sa ancora che finale di partita lo aspetta. Il Bari non sta a guardare, Barreto danza sull’erba del Bentegodi, Meggiorini, in tuffo, mette alla prova i riflessi di Sorrentino. Il secondo tempo inizia con un altro miracolo di Gillet, stavolta su Pellissier. Ma al 20′ il Bari legittima la sua intraprendenza. Bello il lavoro di Kutuzov, entrato al posto di Barreto, sulla fascia sinistra. Doppio passo e via sul fondo. Cross delicato per la testa di Andrea Ranocchia che svetta ancora più in alto di tutti, e fa conoscere il suo nome e le sue doti di calciatore a tutta la serie A. Lob di testa morbido morbido sul secondo palo. Sorrentino resta ferma e io posso scatenare la mia esultanza.

U Bar iè fort, penso. Zero a due, e primi tre punti in trasferta. Senza neanche soffrire magari. Magari. Poi succede che dieci minuti più tardi Yepes mette in mezzo un pallone perfido sul quale si avventa Bogdani, vecchio filobustiere dell’area di rigore (cit), che insacca. C’è sempre un Bogdani pronto a punirti, e a metterti con le spalle al muro, in ogni partita. Dovevo sospettarlo. Puoi giocare con la Reggina, col Chievo, col Cesena, col Brescia, col Siena o con il Vicenza, ma Bogdani e lì, pronto a rimettere tutto in discussione. Non sai mai da dove sbuca un attaccante che cambia di media due squadre all’anno. La partita si riapre, la mia pennichella pomeridiana, che lo 0 a 2 stava consentendo, svanisce tutta d’un tratto. Così come il segnale di Sky, all’improvviso. Cerco Salomone in streaming radio, mi fido solo di lui. Se devo soffrire, preferisco farlo con la voce di mille battaglie. Mi pento subito. Il Chievo attacca a spron battuto, io mi illudo che la parola “pericolo” stia a a significare che i padroni di casa hanno superato il centrocampo. Con Michele, spesso è così. Sento varie imprecazioni per Alvarez e una bella grossa per Meggiorini, reo di essersi mangiato, sempre di testa, un gol a porta spalancata. Un gol facile facile, dice lui.

L’arbitro concede quattro minuti di recupero. Un’eternità per una radiocronaca di Michele Salomone. Poi succede l’incredibile. Se sono qui a raccontare questa partita, lo devo a Michele e a quella incredibile mischia. Il segnale va e viene. Sento solo Noooo Bentivoglio, anzi siii, attenzione, c’è una mischia incredibile, non posso descrivervi nulla, non posso descrivervi nulla, usciamo, anzi no – e vorrei spegnere la radio e lasciar perdere perché non si può soffrire così per una partita – il pallone sulla linea, Gillet miracolo, Gillet miracolo ancora, non so dirvi chi, aiuto, il pallone portato fuori con l’anima. Eccola, la prodezza balistica di Michele Salomone. In un momento di enfasi incredibile, di confusione totale, ha trovato la poesia: quel pallone portato fuori con l’anima è l’immagine romantica di una difesa che vuole a tutti i costi portare a casa questi tre punti e si immola per farlo. Alla fine sento una parola magica, ripetuta tre volte: fuorigioco, fuorigioco, fuorigioco. Respiriamo. Ma non è finita. I gialloblu attaccano ancora, Sono duri a morire questi giocatori del Chievo! Buttano ancora il pallone avanti, ma quando finiscono questi quattro minuti? Langella fa ripartire l’azione del Bari. Alvarez è solo, e si mangia un altro gol. Ma non fa niente. Non ce ne frega niente del calcio d’angolo. L’arbitro fischia la fine. Il Bari vince la sua prima partita in trasferta e vola ad 11 punti. Spengo la radio e vado davanti allo specchio a condividere la felicità con me stesso. Ho le orecchie arrossate e la faccia un po’ tesa. Mannaggia a Salomone, mannaggia al Bari.

Prossima partita, Bari – Padova 5 giugno 1994 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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