A 13 anni le opzioni sono due. O te ne fotti oppure decidi che anche tu, oramai, sei grande e devi saperne di più. Non sono cresciuto in una campana di vetro. A casa mia si parlava spesso di Mafia. I miei genitori erano appassionati del tema, mio padre leggeva saggi, libri, era una grande studioso. Si era laureato scrivendo la sua tesi con un certo Aldo Moro e non aveva più abbandonato questa passione. Mia madre preferiva i film. Palermo – Milano solo andata, la serie della Piovra, il Commissario Cattani e tutte quelle trasmissioni che riempivano le mie serate a fine anni ’80. Quando Maurizio Costanzo era un lottatore impavido e non un accomodante. Io sono cresciuto a pane e stragismo. Macchine bruciate, sangue, funerali di stato, indignazione, indifferenza. Ma ero piccolo e tutto sembrava far parte del palinsesto televisivo. Lo spettacolo era lì, in casa si stava sicuri, almeno era quello che mi dicevano.
Per me vedere saltare in aria una macchina era quasi normale, come la fame per un bambino dell’Africa nera. A distanza di 20 anni esatti da quella assurda notte del 19 luglio 1992 è questa la riflessione che porto con me. Veder saltare in aria un uomo è assurdo, eppure al bambino 13enne dell’epoca questa cosa sembrò un fatto come un altro, un avvenimento, che nel Paese in cui viveva, poteva capitare. Almeno in un primo momento, il tempo di realizzare che non ero più un bambino, o che non volevo più esserlo. Qualche mese prima era toccato a Falcone, quel giorno toccò a Borsellino. Mamma ho paura della mafia le confessai per la prima volta. Lei mi abbracciò, non disse nulla. Cosa avrebbe dovuto dirmi? Cresci, studia e fatti i cazzi tuoi per tutta la vita che non ti succederà niente? Oppure avrebbe dovuto incoraggiarmi a lottare per la verità, a diventare come loro? Mia madre non sapeva cosa avrei voluto fare da grande, ma in momenti come quelli le parole di un genitore possono essere pesantissime. E comunque sarei potuto andare a giocare e invece rimasi lì. A guardare la TV, a sentire le interviste al sindaco di Palermo Ayala, alla gente di via D’Amelio.
Doveva fare un gran caldo quel giorno. Almeno così mi ricordo. E mi ricordo che quell’uomo diceva di avere pochi amici veri e che al suo funerale presero parte molti, moltissimi nemici che facevano finta di essergli amici. Poi quella foto. Borsellino che in tante, troppo foto, era vicino a Falcone, una sorta di monito, sereno, dell’inevitabile. Era domenica. Riesco a ricordarlo perchè la storia di questo Paese passa anche dalle consuetudini familiari. Una gita al mare, il pranzo, i dolcetti, mio padre in canottiera, il Corriere dello Sport. C’era ancora la luce, dovevano essere le 20, più o meno e le giornate iniziavano ad accorciarsi, sebbene di poco. Però una cosa me la ricordo bene: per la prima volta il mondo dei grandi mi aveva deluso. Quelli che mi avevano dipinto per anni come brava gente, persone che avrebbero dovuto proteggermi, mi avevano tradito. Non avevano solo tradito lui, la gente di Palermo, la Sicilia e l’Italia. Avevano tradito un bambino di 13 anni. Che da quel giorno avrebbe fatto fatica a credere alle parole dei grandi. Li avrebbe visti come persone diverse, capaci di mentire, di volere il male, di non avere coraggio. Li odiavo. Anche la mia infanzia è stata strappata via all’improvviso, quella sera del 19 luglio. Io non sono stato più bambino ed ho capito che la verità avrei dovuto cercarla con ogni forza e con ogni mezzo, perchè non me l’avrebbero raccontata mai. Oggi ho 33 anni, sono un uomo. La verità non l’ho trovata e non sono diventato un magistrato come mia madre avrebbe sognato, senza mai dirmelo in maniera esplicita.
In realtà non c’ho neanche provato, credo per pigrizia o (cosa più grave) per vigliaccheria. Magari solo perchè preferivo scrivere storie come questa. Ascolto una canzone di Daniele Silvestri, l’Appello, per ricordarmi di quella sera. Solo lui poteva trovare un modo così gentile per parlare di un uomo “scomparso all’improvviso a fine luglio, in mezzo a un bordello e con addosso solo un piccolo borsello e niente altro però attenzione perchè mio fratello è scaltro, magari per lo sdegno si è nascosto“. Nella canzone si parla anche della famosa agenda rossa “che non si trova più“. Ci ripenso, la ascolto ancora. Fuori è caldo come allora e io non vivo in un paese più sicuro. Ma la lezione di Borsellino è servita a farmi capire che “La memoria non deve essere solo un’emozione. Va illuminata sempre con l’azione e la coerenza dei valori acquisiti“.
Dedicato a Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992)
Foto: Ritratto dal VIVO – di Francesco Cisky Gabriele