Se sei arrivato qui, i motivi sono due: o sei laureato in una disciplina umanistica (magari in lettere moderne o scienze della comunicazione), o stai per intraprendere questo percorso. La maggior parte delle persone ti ha già detto che stai facendo una cazzata, che non c’è lavoro e non c’è bisogno di te. Di un altro professore, scrittore, poeta, sognatore. Se ti chiama sognatore, ha proprio voglia di farti incazzare. Cerca di non essere emotivo, prova ad essere empatico, fai un bel respiro e rifletti. In questi termini, hanno ragione loro. In un articolo di quasi 4 anni fa sostenevo che “Le aziende hanno bisogno di te ma non vogliono dirtelo. Di te che sai scrivere, di te che studi, che conosci l’arte della diplomazia, che sai destreggiarti tra la storia, la geografia, il cinema, il mito, lo sport e l’arte. Che sei curioso, che ami le lingue e le sai parlare. Che sai essere formale e informale, che sai usare digressioni, toni e registri diversi“. In pratica, stavo parlando di Storytelling, senza saperlo. Senza esserne competente.

Le cose non sono cambiate, si sono semplicemente evolute, e mi piace raccontare storie accadute davvero per spiegare meglio quello che sta succedendo nel mondo del lavoro. Ultimamente sono stato in visita a diverse aziende e con alcuni imprenditori abbiamo approfondito l’argomento content marketing. Sono rimasto leggermente sorpreso nel constatare che in molti cercano figure (professionisti e giovani) in questo ambito. Prima di scrivermi “dove devo mandare il curriculum?” leggete attentamente quello che sto per dirvi. Per cui, non saltate questo pezzo, che è quello più doloroso, anche per il sottoscritto. Le aziende non cercano artisti, a meno che non vi chiamiate Alessandro Baricco (o decidete voi come), queste sono eccezioni che non confermano la regola. Parlando con HR, imprenditori e manager emergono le seguenti cose:

  1. C’è una carenza in ambito “contenuti”: molti siti/ social/ DEM e “oceani blu” da esplorare, poche risorse abili a generare contenuti per le aziende. La criticità maggiore emerge in una seconda fase: a fronte di quanti si dichiarano abili a produrre contenuti, si scopre successivamente che molti di questi professionisti sono discontinui, non consegnano in tempo, sono poco organizzati e non seguono procedure aziendali.
  2. Le risorse talentuose sono spesso svogliate: su questo punto posso tranquillamente citare il mio esempio. Venendo da una cultura umanistica ed essendo cresciuto leggendo i poeti più che i marketer ho spesso avuto difficoltà a mettere l’obiettivo davanti al narcisismo di un bel testo. Il risultato è che dopo aver scritto qualcosa di bello ci si crogiola davanti ai like e ai complimenti. Nulla di più sbagliato. Il contesto è talmente ampio che migliorare si può e si deve. Altrimenti, nella maggior parte dei casi ci si ritrova tutti nella parte più ampia della piramide rovesciata (vedi foto); che tradotto vuol dire, nella parte che non genera acquisti.
  3. La velocità non è un optional: tra una risorsa bravissima ma lenta e una persona un po’ meno capace ma veloce, le aziende propendono (giustamente) per la seconda ipotesi. Almeno per ora. Perché la qualità è una gran bella cosa, ma la quantità ha il suo perché.
  4. Le lingue: mettiamoci nei panni di un imprenditore; se assumo un content marketer o uno storyteller e devo creare un progetto internazionale ho tre soluzioni. A) Assumere un professionista per ogni lingua; B) ingaggiare un traduttore freelance; C) fare formazione sulla mia risorsa. Ma attenzione, perché sapere una lingua non vuol dire saper scrivere in lingua.
  5. Chi si occupa di contenuti va specializzato nella “materia” di riferimento. E ogni materia ha un pubblico e un linguaggio. Il linguaggio della formazione è diverso da quello della tecnologia, che è diverso da quello dell’architettura. Aggiungeteci che la maggior parte di noi preferirebbero parlare di vino, viaggi e sport (io ho la fortuna di essere ingaggiato per parlare di calcio, ma i viaggi me li pago da solo). In pratica, un 3% di quello che le aziende richiedono. Dove sono gli Storyteller dei bulloni quando servono?
  6. L’ideale è affiancare queste risorse (spesso nativi digitali) a marketing manager senior: peccato che tra queste due ruoli ci sia spesso una totale incompatibilità di comunicazione, e questo perché alcuni professionisti senior, a fronte di un’invidiabile preparazione, non hanno più la pazienza e la voglia di imparare nuovi linguaggi, come quelli dei social. È altrettanto vero che i nativi digitali, neolaureati, pensano che per saper usare i social network basti tenere aperto Facebook tutto il giorno. Da questo punto nasce l’esigenza di una figura intermedia che sappia mettere in connessione questi due linguaggi. È qui che i 30- 35enni diventano un pilastro fondamentale a cui aggrapparsi per mediare tra focus e creatività.

 

Content-marketing-strategy-content-formats-the-funnel-and-the-buying-journey-via-Adido

 

Ho voluto citare questi punti, e sono solo alcuni, perché dobbiamo essere estremamente pratici. Per gli umanisti il lavoro c’è ma i giovani dovranno essere molto bravi a mettersi in discussione. In primis c’è da sacrificarsi. Lavorare per un’azienda (chi scrive non è un freelance) è una fatica immane. Ci sono tempi, scadenze, ritmi altissimi, soddisfazioni personali più circoscritte. In cambio ci sono molto altre cose, prima tra tutte uno stipendio fisso. Lavorare per se stessi dà tempo, possibilità di muoversi, relazioni e networking. L’altra faccia della medaglia già la conoscete. Non c’è un meglio o un peggio, di sicuro c’è una scelta personale e un fattore denominatore comune: non basta la cultura accademica, non basta il talento, non basta la poesia e (ahimé) non basta leggere qualche libro sul web marketing. Come in palestra si lavora sui punti più deboli e il muscolo cresce nel momento in cui pensiamo di non riuscire a sollevare quei 10 kg in più, la stessa cosa vale per il web marketing. Bisogna esercitarsi sulla velocità, sulla focalizzazione, sul risultato. Soprattutto sul risultato. Bisogna sgomberare il campo dall’idea diffusa che le imprese cerchino degli influencer.

Content-Marketing-Model

O meglio, può anche essere vero, ma anche se questo discorso non vi piacerà sappiate che per vivere da influencer bisogna essere mediamente belli, avere conoscenze importanti, un sacco di tempo libero e qualche soldino da parte. Non ci interessa sapere se quei soldi da parte li avete messi da parte voi o qualche vostro avo, non è il tema di oggi. Il tema è che per lavorare nel content marketing, se venite da una facoltà umanistica, dovete studiare il marketing più che il content. Nel mio prossimo libro, Content Marketing (Hoepli), c’è un’interessante intervista a Francesca Parviero che spiega cosa cercano i recruiter, e quindi le aziende, da un content marketing team, e quindi su cosa dovete esercitarvi e migliorare. Nel Regno Unito esiste un job description precisa per questo lavoro, in Italia ci siamo quasi. Questo post non è la lezione di un Guru, è una testimonianza di chi ogni giorno impara cose nuove, sulla propria pelle.

Solo con il tempo si capisce qual è la propria strada, e se volete saperlo non è così semplice come sembra. Una sola cosa posso garantirvela: per i laureati in lettere c’è posto. L’importante è che siano laureati in lettere 2.0.

ps: Se l’argomento ti interessa, se vuoi crescere in ambito content marketing o semplicemente se ti interessano i miei spunti o link quotidiani sul tema, ti consiglio di scaricare Telegram sul tuo smartphone o nella versione web  e iscriverti alla lista “Il Marketing dei contenuti“. Basta cliccare su questo link. Ogni giorno riceverai degli aggiornamenti, tra spunti per migliorare, topic di discussione e offerte di lavoro.

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

2 Comments —

  1. Ciao, sono una laureanda i lettere moderne, con grande passione per ciò che studia ed altrettanta paura di non riuscire ad inserirsi nel mondo del lavoro una volta terminati gli studi. Ho scelto questa facoltà perchè in cuor mio sapevo che non avrei potuto e sopratutto voluto fare altro, nonostante in tanti abbiamo cercato di dissuadermi da questa scelta. Ho fatto una scelta di coraggio e di amore per le materie letterarie che fin dalle scuole medie hanno captato la mia attenzione. Ma mi chiedo basterà il coraggio, l’amore, la passione per la lingua italiana, per la storia, per l’arte, a garantirmi un lavoro stabile ed adeguato? Spesso vedo le persone ridermi in faccia quando apprendono il corso di laurea che frequento. Sebbene sia contenta della scelta che ho fatto, è triste sentirmi dire: ” che lavoro potrai fare con una laurea in lettere”, “entrare nell’insegnamento è impossibile”, “perché non hai fatto altro”. Ai momenti di sconforto per mio timore di non inserirmi nel mondo del lavoro, alterno momenti in cui cerco di convincermi che dopo la laurea riuscirò ad inserirmi nel giornalismo o nell’insegnamento come ho sempre desiderato. Mi chiedo se in questo treno dei desideri ci sia almeno un po’ di realtà. Dopo aver letto il tuo articolo mi sento un po’ meno disillusa, sento che forse una speranza ci sarà anche per me.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *