Storie di razzismo e ignoranza. Quando il calcio diventa un brutto affare

Partiamo da un assunto che farà incazzare parecchi. Io non sono tra quelli che sostengono che “Chi paga il biglietto è libero di fare quello che gli pare“. La democrazia è una bella cosa, l’educazione altrettanto, e questo non vale soltanto quando di mezzo ci sono temi scottanti come il razzismo. Mi dà fastidio che gli stadi vengano da sempre considerati un porto franco. Se è per questo pago il biglietto anche al cinema. Eppure spengo il telefono, parlo sottovoce se proprio devo e cerco di non soffiare dentro la Coca Cola per fare le bollicine (cosa che mi piacerebbe tantissimo fare, ma tant’è).

Non vorrei arrivare a citare il teatro, mi limito all’esempio del tennis dove ogni tanto l’arbitro mi chiede di tacere. E io obbedisco. Ho assistito ad una partita di Nba in America (la parentesi serve a farvi pensare che si tratta del continente dove ogni tanto qualche ragazzo fa strage di bambini nelle scuole. Fatto? Ok, andiamo avanti). La gente si diverte, urla, strepita, ma sempre con il massimo rispetto. Il disappunto non sfocia mai nell’insulto e chi esagera viene deriso dagli altri spettatori. Una volta Lapo Elkann, seduto a bordo campo a Los Angeles, ebbe la geniale idea di raccogliere un pallone ancora giocabile. Lo guardarono con grande compassione.

Mi avvalgo di cotanta premessa per dire la mia su quanto successo ieri a Busto Arsizio. Eviterò commenti scontati. Ovvio che Boateng faccia bene ad andare via. Ovvio che il Milan dimostri solidarietà verso il gesto del compagno, altrettanto ovvio che si tratta di un’amichevole ed è tutto molto semplice. Detto questo. La bella cittadina di Busto Arsizio, a causa di qualche imbecille (1? 10? 50?) ha fatto una figura di merda senza mezzi termini. Ci vorrà molto tempo a levarsi di dosso l’etichetta di città razzista, e questo grazie a qualche genio che non aveva di meglio da fare ieri. Ancor di più dopo le confuse dichiarazioni del Sindaco parecchio confuso nel giudicare l’accaduto. Sarei falso se dicessi che queste cose accadono o sono accadute solo nelle terre padane. Ricordo che da bambino, al San Nicola di Bari (città che notoriamente, come il proprio patrono, ama i forestieri), “simpatici ululati scimmieschi” nei confronti di George Weah. La cosa a dir poco comica era che nella stessa partita Masinga (sudafricano del Bari) veniva osannato dalla folla. Anche per questo non sono d’accordo con Michele Serra (che stimo tantissimo) nè quando dice che il capitano del Milan è Albertini (capita), nè quando afferma che il gesto di Boateng può costituire un precedente. In realtà di precedenti ce ne sono già tanti (alcuni molto vintage come leggerete nell’articolo se vi verrà voglia di proseguire), quello che manca è una netta presa di posizione della società civile, delle istituzioni, delle associazioni (Figc in primis).

Fece scalpore qualche anno fa (nel 2005) un altro episodio avvenuto a Messina. Allora fu Mark Zoro, difensore ivoriano dei siciliani, a prendere il pallone in mano al 25′ del secondo tempo e chiedere all’arbitro di sospendere la partita dal momento che i tifosi dell’Inter non smettevano di insultarlo. Dopo qualche minuto i giocatori convinsero Zoro a restare in campo e la partita terminò regolarmente. Restando in casa Inter diventa più difficile valutare i continui insulti contro Balotelli. Reo di essere italiano nonostante le sue origini, ma soprattutto reo di avere atteggiamenti poco simpatici nei confronti di chiunque: compagni, avversari, pubblico. Di certo nessuno lo ha aiutato visto che la sua bella dose di fischi ha iniziato a prenderseli a 17 anni. Mentre a 18 c’era già qualcuno che gli cantava “Se saltelli muore Balotelli“. Non proprio un’adolescenza facile insomma. E comunque razzismo o meno, quel coro mi ha sempre fatto schifo. Come l’usanza di augurare la morte a qualcuno.

Passò quasi inosservato un altro grande gesto del giocatore del Perugia Coly. Subissato di fischi dall’inizio alla fine dai tifosi del Verona, il 13 maggio del 2005, il giocatore aspetta la fine della gara per togliersi la maglia, battersi la mano sul petto con orgoglio, baciare il suo braccialetto antirazzista e fare allo stadio il gesto della vittoria. Il campo del Verona fu squalificato per un turno. Restando in terra scaligera non tutti sanno che nel 1996 il presidente Mazzi aveva acquistato l’olandese Ferrier che sarebbe stato il primo giocatore di colore a vestire la maglia gialloblu. Due simpatici striscioni “Negro go away” e  “Il nero ve lo hanno regalato, mandatelo a pulire lo stadio” (in dialetto) invitarono la Società a temporeggiare. Quando Ferrier arrivò per le visite mediche emersero presunti problemi fisici (si parlò di una malformazione cardiaca), che impedirono il tesseramento del difensore. Tralascio i fischi alla memoria di Morosini. Non meritano commenti.

Nella civilissima Udine (oggi modello di integrazione, sportiva e non) accadde qualcosa di molto grave nel 1989. L’Udinese acquistò il centravanti israeliano Ronny Rosenthal. I “tifosi” accolsero il giocatore con simpatiche scritte sui muri del tipo “Juden Rauss, niente ebrei in squadra“. Anche quella volta, senza troppi giri di parole, la dirigenza accettò il ricatto dei tifosi e durante le visite mediche emersero strani problemi alla schiena che fecero saltare l’affare. Rosenthal si accordò con il Liverpool dove divenne un idolo, segnando a raffica, in barba a chi gli aveva diagnosticato le vertebre storte. Potrei continuare a lungo con questa casistica ma preferisco chiudere con due episodi più romantici. Nel Giugno del ’68 durante un’amichevole tra l’Alessandria e il Santos Pelè si prese la sua bella dose di insulti. O Rey andò a prendersi palla come sapeva fare meglio (con i piedi), dribblò gli avversari ad uno ad uno e andò a fare gol. Poi andò via. Sono passati più di 40 anni, eppure qualcuno è ancora costretto a fare la stessa cosa. Finchè gli stadi resteranno una zona franca, dove tutto è lecito, continueremo ad assistere a ululati razzisti, sputi all’assistente, “devi morire” all’avversario infortunato, minacce di vario genere all’arbitro e troppe altre cose. Compresi i fischi ad un certo Paolo Maldini, reo di non aver mai patteggiato con la curva, durante la sua partita d’addio contro la Fiorentina. Quella volta il Milan non andò via. Ma avrebbe fatto bene a farlo. Chi paga il biglietto non ha sempre ragione. 

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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