Quante volte vi siete fatti raccontare un derby? Magari dai vostri genitori, dai vostri nonni, da qualche amico coraggioso che prima di altri ha affrontato una trasferta. Beh, i derby non sono tutti uguali. Bari è il capoluogo della Puglia, snodo del meridione, la città più grande e più esposta ai venti del Levante. Inevitabile che tutti, intorno a noi, ci odino. Lo fanno i foggiani, con i quali ci siamo divertiti durante gli anni ’90 in derby di serie A di altissimo livello. Ci odiano i tarantini, con i quali abbiamo condiviso soprattutto i derby degli anni ’80, resi ancora più accesi dal “tradimento” di Pietro Maiellaro, da Idolo dello Jacovone a fromboliere del Bari. Ma il derby con il Lecce, vuoi per il numero di partecipazioni alla serie A, vuoi per il carattere dei salentini, totalmente opposto al nostro, è sempre stato il più sentito. Si dice che Lecce è maniera, Bari è mestiere. Beh, si potrebbe continuare all’infinito. Lecce è barocca, Bari è romanica. Lecce è decantazione, attesa, pensiero. Bari è fretta, lavoro, azione. Lecce è arte, Bari è negozio. E così via. Salento is not Puglia, diranno gli stessi leccesi qualche anno più tardi rispetto alla storia che mi appresto a raccontare.

E sì, perchè non tutte le storie sono a lieto fine, almeno per me. E poi, anche quando le cose vanno male (in questo caso molto male) c’è sempre una lezione da imparare, da prendere e portare a casa, da custodire gelosamente come il ricordo di questa partita. Avevo detto che non avrei parlato solo di successi e trionfi. Non riuscirei a riempire una rubrica di 100 partite. E poi chi l’ha detto che dietro una sconfitta non si nasconda il segreto di una rinascita? Toccare il fondo per risalire, prima a fatica, poi di scatto, con orgoglio e convinzione, quella che mancava da tempo a Bari. Otto anni per la precisione. E allora partirò dal fondo, quello che abbiamo toccato il 22 dicembre del 2007. Una giornata che farò fatica a dimenticare. Vivo fuori e torno a Bari per le festività natalizie. Anticipo di qualche giorno per potermi godere il derby con il Lecce. Loro vanno forte, la squadra è costruita per tornare in A e Papadopulo è garanzia di concretezza. Il Bari arranca. Però in casa abbiamo sempre detto la nostra. Insomma i presupposti per lo sgambetto al Lecce ci sono comunque, nonostante Materazzi scelga una squadra prudente, forse troppo. Insomma, torno a Bari, dicevo. La mia ex ragazza dice che non vuole tornare con me 24 ore prima e avrei dovuto percepirli subito i contorni della tragedia. Chiedo ai miei amici se vogliono venire allo stadio con me e ottengo la risposta dei giorni peggiori “Angor dret o’Bàr vè?“.

Incasso e mi metto in macchina. Parcheggio nel mio posto portafortuna e mi sobbarco inutili chilometri scaramantici a piedi. Avrei potuto parcheggiare sotto la tribuna est e nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Mi imbatto in un paio di macchine di tifosi leccesi. Un tipo lancia una bottiglietta di birra per farmi spaventare. Ma non ci riesce. Guardo la classifica, quella sì che mi spaventa. A ridosso della zona retrocessione e con una squadra di merda. Che il dio del pallone ce la mandi buona. I derby sono belli quando sono ad armi pari. Disperati contro disperati, rivelazioni contro rivelazioni, e così via. Questo non lo è. Non lo è sul campo, dove Tiribocchi e Abbruscato sembrano di un’altra categoria. Non lo è sugli spalti dove nonostante la curva barese tenti di sembrare compatta e coraggiosa è comunque sconfortata dalla presenza dei Ladino e dei Rajcic del caso. E Santoruvo e Cavalli non sono in giornata, e si vede subito. Eppure la partita è stranamente equilibrata, con il Lecce che attacca e il Bari che arretra, ma pur sempre equilibrata. Qualche fiammata, alcuni contropiedi e quella sensazione che possa finire anche 0 a 0 questo derby dimenticabile. Invece al’improvviso la partita diventa indimenticabile. Un incubo. Che si materializza quando Angelo scappa sulla fascia destra e crossa al centro per Abbruscato che allunga verso Ariatti. Nuovo cross e questa volta colpo di testa e rete del vantaggio leccese. Incasso, con filosofia. Michele Emiliano, sindaco di Bari, qualche fila sotto di me, allarga le braccia. Abbiamo tempo per rimediare, sembra essere il suo pensiero.

A Lecce è già Natale invece. E che sia la giornata sbagliata lo si capisce definitivamente un minuto più tardi quando Donda batte una punizione e Stellini colpisce di testa mandando le speranze di chiudere il primo tempo sull’1 a 1 direttamente sulla traversa. Il tempo di mettersi le mani tra i capelli. Poi c’è Rosati, il portiere, che rinvia direttamente sul sinistro di Tiribocchi che colpisce al volo da fuori area e manda in delirio la curva Sud e negli inferi il resto dello stadio. L’intervallo serve solo a guardarsi in faccia, tra di noi, e chiederci chi ce l’ha fatto fare. Le squadre tornano in campo e il copione peggiora. Passa un quarto d’ora. Tiraccio da fuori area di Ariatti, stinco di Abbruscato e rete dello 0 a 3. Qualcuno inizia ad abbandonare lo stadio, qualcun altro a irridere la propria squadra che, per inciso, non fa nulla per non farsi irridere. Materazzi fa pensieri amari, in tribuna si fanno già i nomi dei sostituti. Nessuno fa il nome che faccio io, anzi qualcuno mi prende per il culo “Sì, ci manca quel fallito. Pure retrocesso, con l’Arezzo. No, no… leccesi non ne vogliamo“. Decido che è inutile spiegare che con l’Arezzo non è retrocesso lui ma Sarri che l’ha sostituito per 8 partite perdendone 7 e che lui aveva fatto un rimonta eccezionale e che per poco non si salvava. Decido che è inutile perchè tanto chiameranno lo Sciannimanico di turno. Il tempo di rimettere gli occhi su quel prato verde e vedo Tiribocchi involarsi ancora, scambiare con Tulli e irridere lo stadio San Nicola per la quarta volta. Adesso sì, la curva si svuota davvero. Resto seduto in tribuna a guardare il via vai generale.

No, non mi hanno insegnato questo. Si resta a soffrire fino al fischio finale. Non mi piace chi abbandona la nave che affonda. E questa affonda davvero, stavolta definitivamente. Finisce con i giallorossi in delirio. Di biancorosso, nello stadio, è rimasta solo la mia sciarpa. Torno a casa sconsolato. Ci pensa mia madre a darmi la mazzata finale “Potevi stare quà, ancora con questo Bari“. Apprendo qualche ora più tardi che Materazzi ha dato le dimissioni. Al suo posto una scommessa: Antonio Conte. Ecco come, a volte, solo toccando il fondo può iniziare una nuova storia. Quella di Checco Zalone che dice “Nei momenti tragici, nelle asperità…“, quella di una squadra che pian piano reagisce, si rialza. Una squadra che al ritorno, senza obiettivi di classifica, andrà a vincere a Lecce. Quella di un gruppo che l’anno dopo dominerà il campionato di serie B. Ecco perchè io, in fondo, quel derby, perso in casa per 4 a 0 lo ricordo, paradossalmente, con piacere.

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

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