Vincenzo Matarrese ha sempre avuto una concezione molto padronale, e provinciale, del potere. E Antonio non è mai stato da meno. Come quella volta in cui raccontò, con innocenza e candore, che suo fratello aveva protestato con lui per le convocazioni Under 21 di Maldini: neanche un giocatore del Bari. Accade il 30 dicembre del 1990, alla vigilia di un derby importantissimo contro il Lecce di Boniek. Un tecnico arrivato in Salento con la fama di grande innovatore, di personaggio scomodo e tecnico del futuro e che un anno dopo siederà sulla panchina del Bari. Il risultato sarà lo stesso su entrambe le panchine: retrocessione. Zibì però sembra avere le idee chiare, all’epoca: “Avrei potuto fare mille cose per guadagnare soldi – dichiara al Guerin Sportivo (dicembre ’90) – dal commentatore televisivo al manager. Ma onestamente questa è la sola che mi faccia sentire davvero realizzato: essere in campo con i ragazzi per gli allenamenti durante la settimana, e la domenica vederli giocare dalla panchina“. Qualche anno dopo, evidentemente, cambierà idea. Ma non si sente molto la nostalgia del Boniek allenatore. Il suo Lecce però non parte affatto male: pareggia spesso e vince ogni tanto. Con i due punti si può conquistare la salvezza anche così. Ha un punto in meno del Bari di Salvemini, Un allenatore meno sponsorizzato dai media ma certamente più efficace. Anche lui, alla vigilia del derby si esprime con un certo ottimismo: “L’anno scorso c’era un obbligo: tornare in A. Quest’anno c’era l’idea di fare un buon campionato per creare certe basi. Siamo in media. Anzi: siamo pronti per tentare il salto di qualità. Il traguardo è la coppa Uefa. La città è matura, ha una grossa provincia, ha strutture in grado di assecondare le ambizioni della Società“.

Parole sentite e risentite per anni. Insomma, il derby si annuncia ricco di spettacolo. Nella stessa giornata si giocano due sfide scudetto: il Milan sfida la Juve in casa mentre la sorprendente Sampdoria di Mancini e Vialli ospita l’Inter per portarsi in testa alla classifica di un campionato che alla fine vincerà. Mio padre mi propone di andare in trasferta in Salento. Ci andiamo a Lecce? – mi dice con innocenza. Mia madre lo guarda in cagnesco. Ma guarda questo, io sto organizzando il capodanno e lui pensa ad andare a vedere la partita! Li adoro quando litigano. Lo so che si amano, e comunque vada so che lei capirà. Il Bari è sempre il Bari e non c’è Capodanno che tenga. Prendiamo la Panda, quella targata Brindisi, così stiamo più sicuri. E anche se ce la toccano chi se ne frega, è tutta scassata, dice sempre mio padre. Arriviamo a Lecce per le 11.30, il tempo di una Puccia. Fa un caldo che sembra luglio, eppure è dicembre, uno dei più temperati che io ricordi. Ci prendiamo anche un pasticciotto, e un caffè. Andiamo allo stadio e mio padre compra due biglietti di tribuna. Niente sciarpe per carità, ha una responsabilità, un bambino di 12 anni, e nessuna intenzione di fare storie. Vuole vedere una partita di calcio, una festa, niente di più. Lo speaker annuncia la formazioni: Biato, Carrera, Loseto, Brambati, Cucchi, Gerson, Di Gennaro, Maiellaro, Lupo, Raducioiu, Joao Paulo. I loro nomi spuntano tra i fischi. Li sentiamo a fatica, il tempo di un commento a bassa voce.

Perchè Lupo e non Soda? Gli olè accompagnano la formazione di casa. Zunico in porta, Garzya, nostro futuro capitano, in difesa. Il prossimo campione del mondo Mazinho a centrocampo assieme ad Alejnikov e al giovane Antonio Conte a centrocampo, Pasculli e Virdis in attacco. Insomma, tutt’altro che una squadraccia. La partita incomincia con il Lecce affamato. C’è quel numero 8 che corre come un ossesso. Mio padre prende nota e mi dice: quel ragazzo farà strada, si chiama Conte. Lui ha sempre avuto un fiuto naturale per certe cose. Il Bari si difende. Loseto (Dang’nu tuzz) mette la museruola a Pasculli. I due si conoscono e non si amano. Brambati si occupa di Virdis. Capelli bianchi e baffo d’annata, fiuto da goleador ancora intatto. Passa mezz’ora. Mezz’ora di schermaglie, poco altro. Garzya lancia in avanti, Mazinho corregge verso il centro dove si incunea Morello che, nonostante il pressing di Loseto, riesce a mettere in rete. 1 a 0 per loro. Mio padre si alza per vedere meglio e quasi mi tira su con se. Penso lo faccia per non dare nell’occhio e mi alzo anche io, sebbene si veda lontano da un miglio che il mio non è un gesto di esultanza. Boniek chiama la zona a centrocampo e chiede ai suoi centrocampisti di tenere palla. Mazinho e Alejnikov non chiedono di meglio. A correre ci pensa quell’altro, il numero 8. Raducioiu davanti è solo, per il Bari. Ma con i suoi scatti tiene in apprensione l’intera difesa. Joao deve ancora accendersi. Sembra svogliato, con la testa già al viaggio in Brasile. L’assenza di Terracenere si sente. Cucchi e Di Gennaro sembrano piuttosto assenti e il Borghetti ha un odore che mi da troppo di stadio. Di urla e passione, dialetto e aria viziata.

Ma mi piace, quell’aria, mi fa sentire a casa. Maiellaro non si illumina e Pasculli va due volte vicino al raddoppio. E per fortuna che ci pensa Biato a togliere per due volte le castagne dal fuoco. Nel secondo tempo c’è Laureri al posto di Di Gennaro e la squadra ne guadagna in corsa sebbene perda in qualità. Ma forse non è la qualità che serve. Conte, stremato, viene sostituito da un difensore, Carannante. Ma il minuto decisivo è il 66′, quando Salvemini prende coraggio e butta dentro un attaccante, Soda, al posto di un difensore, Loseto. Ventisei anni, la fama di attaccante di peso scolorita da una manciata di stagioni all’insegna del digiuno da gol. Una serie di campionati a Catanzaro, Empoli e Trieste. Una discreta serie B e poco altro. Poi la chiamata del destino: il Bari si disfa di Scarafoni e a parziale conguaglio pretende dalla Triestina Antonio Soda. La destinazione è la panchina, ma quando Antoniosoda (tutto attaccato) si alza, sono dolori. Debutta in Bari – Juve infilando Tacconi, poi esce di nuovo dal letargo e… ma andiamo per ordine. Joao sembra dare cenni di risveglio. Un paio di dribbling e qualche legnata (ricevuta). Garzya è veloce quanto lui, sa come marcarlo. Ma Radu si incunea in area e si trova solo davanti a Zunico che è bravo a chiudergli lo specchio. Il Lecce cala alla distanza, gli succede spesso. Minuto 88: il Bari conquista un calcio d’angolo. Le speranze sono piuttosto ridotte ormai: Joao sistema il pallone con cura. Lascia partire una parabola delle sue. Soda irrompe in area e di testa anticipa tutti. Pareggio e delirio (silenzioso) personale. Mio padre mi da un pugno sulla spalla, di nascosto. Io vedo i miei idoli esultare sotto la curva biancorossa che finalmente si fa sentire. Vorrei essere in quel posto. Ad esultare con loro. A gridare, urlare, applaudire. E invece devo stare in silenzio, interiorizzare quella gioia, fare finta di niente. Mi servirà nella vita, eccome se mi servirà. E servirà anche quel punto, al Bari, a fine stagione. Sarà decisivo per la salvezza, quella che ci regalerà Joao in un bellissimo pomeriggio di Maggio, facendo impazzire Maldini, Baresi e Costacurta.  Mentre il Lecce affonderà a Genova contro la Samp campione d’Italia. Ma questa è un’altra storia.

Prossima puntata: Bari – Empoli, 4 maggio 2009

 

Content & Community manager. Storytelling addicted. Scrivo markette per campare e romanzi per passione. Un giorno invertirò la tendenza. Domani no.

2 Comments —

  1. ero anche io in tribuna in incognito in quella partita.. e ricordo perfettamente che al gol di soda ce ne fregammo di tutto e tutti ed esultammo.. e si scopri’ che in tribuna (nel settore inferiore) eravamo molti baresi!!

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